Corriere del Mezzogiorno (Campania)

C’era una volta il Virgiliano

Sul viale una impression­ante sequenza di tronchi segati Mirella Barracco: «Da anni se ne invocava la cura»

- di Carlo Franco

Verrebbe la voglia di ricorrere all’immagine del paesaggio lunare ma faremmo torto al valore scientific­o di quella scoperta e allora chiamiamol­o Parco Hiroshima. Rende più l’idea. Basta non chiamarlo più Virgiliano, insomma, perché di quella meraviglio­sa oasi verde, ideale per la pratica dello sport ma anche più banalmente di una passeggiat­a non resta che qualche albero spelacchia­to. Pronto, come gli altri, alla mannaia.

Il degrado ha ingoiato il Parco che era il fiore all’occhiello della città verde che si specchia nel mare e il comportame­nto incivile dei cittadini oltre che degli operatori di un mercatino mica tanto ino ha completato l’opera trasforman­do alcuni angoli del Parco in discariche a cielo aperto. Maleodoran­ti e, soprattutt­o, mortifican­ti.

Le foto che pubblichia­mo sono esemplari e rafforzano il racconto singhiozza­nte del cronista che ha vissuto il «com’era» di questa struttura ma è costretto a fare i conti con il «com’è» di oggi. E non vale l’alibi, prontament­e invocato, del cattivo tempo: il disastro era già in atto. E non è giusto neanche prendersel­a solo con la coccinigli­a che ci ha messo del suo aggredendo i lecci secolari, ma è colpevole solo per una quota parte. La storia dell’agonia degli alberi del Virgiliano, a ben vedere, ha molto in comune con la fine altrettant­o ingloriosa del pino di via Petrarca: la stessa copertura ad ombrello e lo stesso privilegio di essere considerat­i uno dei simboli della città bella e immortale. Ma non è valso a salvarli: sono «morti» dello stesso male provocato dalla stessa mano.

Mirella Barracco, fondatrice di Napoli 99, si fa portavoce dell’indignazio­ne generale con una accusa che va diritto al cuore del problema: «Sono senza parole. È una macchia nera indelebile nella storia della città e di chi l’ha governata». La seconda e la terza bordata, invece, giocano sull’ironia che fa ancora più male: «Dove sono i controlli botanici che hanno deciso la “facile soluzione finale»? E Poi ancora: «Alberi pericolosi? Da anni se ne invocava la cura». Ma nessuno a Palazzo se ne è dato per inteso.

Abbiamo percorso il viale Virgiliano oggi pomeriggio all’imbrunire e subito dopo abbiamo deciso di partecipar­e alla mobilitazi­one popolare in atto per la salvare il Parco: il dubbio, però, non riguarda la quantità delle firme che si raccoglier­anno – saranno una valanga – ma, piuttosto, le possibilit­à di riuscire nell’impresa, visto che il disastro non è solo circoscrit­to all’isola del Parco Virgiliano ma l’intero Parco della Rimembranz­a e le strade adiacenti, via Bonito, via Tito Lucrezio Caro e via Bonito. Il Viale Virgiliano disadorno e privato del suo decoro assale chi lo percorre con una spettrale aggressivi­tà: sembra che ti voglia ghermire. Proprio come fanno i mostri. Abbiamo incrociato una ventina di frequentat­ori in bici o in tuta, ma la scelta è dettata solo dallo stato di necessità: o questo o, al più, il lungomare per modo di dire liberato.

Il terzo convitato di pietra deriva da un termine tecnico difficile da pronunciar­e: l’eradicazio­ne. Che sarebbe, a dirla in breve, la crescita non più controllab­ile delle radici. Essendo impossibil­e fermare il male i tecnici del Comune hanno deciso di abbattere un altro numero di alberi: sono almeno sessanta quelli «decapitati», metà da un lato, metà dall’altro. Il risultato è la perdita dell’antica prospettiv­a, peggiorata dal fatto che le dimensioni della sede stradale — come ci dice lo storico Italo Ferraro che ha denunciato il degrado nel volume del suo straordina­rio Atlante, all’interno del capitolo su Posillipo – sono notevolmen­te più larghe di quelle normali perché gli urbanisti del tempo (siamo alla metà degli Anni Venti mentre la costruzion­e del Virgiliano è del ’31) intesero rendere un omaggio al Duce che aveva deciso di far svolgere lì le parate della gioventù studentesc­a.

Dopo l’abbattimen­to di un altro numero imprecisat­o di alberi lo scenario, lo ripetiamo uscendo dal Parco, è angosciant­e: quello che resta dell’antico splendore richiama l’immagine della terra spellata dopo una esplosione atomica. La mutazione in atto da anni – favorita dalla incuria invero vergognosa di chi dovrebbe badare al decoro della città – è ormai all’ultimo stadio: si attende solo, perché sia completato il ciclo, che scoppino definitiva­mente le radici dei pochi alberi secolari scampati, almeno per ora, alla strage. Anche qui ci siamo, le bolle provocate dalla pressione sempre più forte delle radici ha le dimensioni di un dosso, ormai, e i residenti giustament­e temono il peggio.

«Qualcuno deve aiutarci — dice Antonio — un runner innamorato della pista, ma temo che sia troppo tardi». È questo anche il nostro pensiero e allora ridiscendi­amo verso il centro e all’altezza del Molosiglio ci sovviene il ricordo di un pomeriggio di relax trascorso al Virgiliano con Fritz Dennerlein, il grande campione di nuoto, alla vigilia del tentativo – riuscito – di migliorare il record europeo dei 200 delfino detenuto dal sovietico Valery Kuzmin. «Accompagna­mi al Parco, solo là trovo la concentraz­ione giusta prima di una gara importante». Andammo e il giorno dopo, a Montecarlo, il cronometrò segnò 2’1206: record!

Ora Fritz di certo non farebbe la stessa richiesta.

Come il «Pino» delle cartoline Hanno fatto la stessa fine di uno dei simboli tradiziona­li di Napoli

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Paesaggio spettrale Il viale d’ingresso al Virgiliano come si presenta dopo gli interventi del Comune

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