Corriere del Mezzogiorno (Campania)
C’era una volta il Virgiliano
Sul viale una impressionante sequenza di tronchi segati Mirella Barracco: «Da anni se ne invocava la cura»
Verrebbe la voglia di ricorrere all’immagine del paesaggio lunare ma faremmo torto al valore scientifico di quella scoperta e allora chiamiamolo Parco Hiroshima. Rende più l’idea. Basta non chiamarlo più Virgiliano, insomma, perché di quella meravigliosa oasi verde, ideale per la pratica dello sport ma anche più banalmente di una passeggiata non resta che qualche albero spelacchiato. Pronto, come gli altri, alla mannaia.
Il degrado ha ingoiato il Parco che era il fiore all’occhiello della città verde che si specchia nel mare e il comportamento incivile dei cittadini oltre che degli operatori di un mercatino mica tanto ino ha completato l’opera trasformando alcuni angoli del Parco in discariche a cielo aperto. Maleodoranti e, soprattutto, mortificanti.
Le foto che pubblichiamo sono esemplari e rafforzano il racconto singhiozzante del cronista che ha vissuto il «com’era» di questa struttura ma è costretto a fare i conti con il «com’è» di oggi. E non vale l’alibi, prontamente invocato, del cattivo tempo: il disastro era già in atto. E non è giusto neanche prendersela solo con la cocciniglia che ci ha messo del suo aggredendo i lecci secolari, ma è colpevole solo per una quota parte. La storia dell’agonia degli alberi del Virgiliano, a ben vedere, ha molto in comune con la fine altrettanto ingloriosa del pino di via Petrarca: la stessa copertura ad ombrello e lo stesso privilegio di essere considerati uno dei simboli della città bella e immortale. Ma non è valso a salvarli: sono «morti» dello stesso male provocato dalla stessa mano.
Mirella Barracco, fondatrice di Napoli 99, si fa portavoce dell’indignazione generale con una accusa che va diritto al cuore del problema: «Sono senza parole. È una macchia nera indelebile nella storia della città e di chi l’ha governata». La seconda e la terza bordata, invece, giocano sull’ironia che fa ancora più male: «Dove sono i controlli botanici che hanno deciso la “facile soluzione finale»? E Poi ancora: «Alberi pericolosi? Da anni se ne invocava la cura». Ma nessuno a Palazzo se ne è dato per inteso.
Abbiamo percorso il viale Virgiliano oggi pomeriggio all’imbrunire e subito dopo abbiamo deciso di partecipare alla mobilitazione popolare in atto per la salvare il Parco: il dubbio, però, non riguarda la quantità delle firme che si raccoglieranno – saranno una valanga – ma, piuttosto, le possibilità di riuscire nell’impresa, visto che il disastro non è solo circoscritto all’isola del Parco Virgiliano ma l’intero Parco della Rimembranza e le strade adiacenti, via Bonito, via Tito Lucrezio Caro e via Bonito. Il Viale Virgiliano disadorno e privato del suo decoro assale chi lo percorre con una spettrale aggressività: sembra che ti voglia ghermire. Proprio come fanno i mostri. Abbiamo incrociato una ventina di frequentatori in bici o in tuta, ma la scelta è dettata solo dallo stato di necessità: o questo o, al più, il lungomare per modo di dire liberato.
Il terzo convitato di pietra deriva da un termine tecnico difficile da pronunciare: l’eradicazione. Che sarebbe, a dirla in breve, la crescita non più controllabile delle radici. Essendo impossibile fermare il male i tecnici del Comune hanno deciso di abbattere un altro numero di alberi: sono almeno sessanta quelli «decapitati», metà da un lato, metà dall’altro. Il risultato è la perdita dell’antica prospettiva, peggiorata dal fatto che le dimensioni della sede stradale — come ci dice lo storico Italo Ferraro che ha denunciato il degrado nel volume del suo straordinario Atlante, all’interno del capitolo su Posillipo – sono notevolmente più larghe di quelle normali perché gli urbanisti del tempo (siamo alla metà degli Anni Venti mentre la costruzione del Virgiliano è del ’31) intesero rendere un omaggio al Duce che aveva deciso di far svolgere lì le parate della gioventù studentesca.
Dopo l’abbattimento di un altro numero imprecisato di alberi lo scenario, lo ripetiamo uscendo dal Parco, è angosciante: quello che resta dell’antico splendore richiama l’immagine della terra spellata dopo una esplosione atomica. La mutazione in atto da anni – favorita dalla incuria invero vergognosa di chi dovrebbe badare al decoro della città – è ormai all’ultimo stadio: si attende solo, perché sia completato il ciclo, che scoppino definitivamente le radici dei pochi alberi secolari scampati, almeno per ora, alla strage. Anche qui ci siamo, le bolle provocate dalla pressione sempre più forte delle radici ha le dimensioni di un dosso, ormai, e i residenti giustamente temono il peggio.
«Qualcuno deve aiutarci — dice Antonio — un runner innamorato della pista, ma temo che sia troppo tardi». È questo anche il nostro pensiero e allora ridiscendiamo verso il centro e all’altezza del Molosiglio ci sovviene il ricordo di un pomeriggio di relax trascorso al Virgiliano con Fritz Dennerlein, il grande campione di nuoto, alla vigilia del tentativo – riuscito – di migliorare il record europeo dei 200 delfino detenuto dal sovietico Valery Kuzmin. «Accompagnami al Parco, solo là trovo la concentrazione giusta prima di una gara importante». Andammo e il giorno dopo, a Montecarlo, il cronometrò segnò 2’1206: record!
Ora Fritz di certo non farebbe la stessa richiesta.
Come il «Pino» delle cartoline Hanno fatto la stessa fine di uno dei simboli tradizionali di Napoli