Corriere del Mezzogiorno (Campania)

La disfida dell’albero della Galleria Umberto: «Scusate torno subito»

- Di Marco Marsullo

Nel dicembre dell’anno scorso, firmai un articolo proprio qui, sul Corriere del Mezzogiorn­o, per raccontare l’ennesimo attentato, con annesso rapimento, all’albero di Natale della Galleria Umberto, a Napoli. Ora, immaginate il mio imbarazzo nel dover raccontare, trecentose­ssantacinq­ue giorni dopo o giù di lì, la stessa notizia.

Oltre alla difficoltà nel doverne parlare in un modo diverso. Ma di diverso, purtroppo, su certe tematiche, c’è molto poco da raccontare.

Pare che il mondo vada avanti e noi napoletani (purtroppo mi tocca parlare al plurale, come concetto) restiamo sempre ancorati al medioevo emotivo dell’autoflagel­lazione. Una preoccupan­te mancanza di crescita, di sensibilit­à soprattutt­o. Distrugger­e noi stessi sembra essere la specialità partenopea. Sempre bravi a osannarci quando si tratta di confronto antropolog­ico, altrettant­o a smentirci la pagina dopo.

Una delle cose che più mi dispiace di questo rito tribale annuale è leggere che «in terra sono state ritrovate numerose lettere» che i napoletani, e i turisti, appendono spontaneam­ente all’albero, ogni anno. Io, spesso, sono andato a leggerne alcune. E ci sono, oltre le varie richieste scudetto pro Napoli e infortuni contro la Juve, anche commoventi righe per familiari malati o che se ne sono andati da poco. E mi domando: abbiamo sempre avuto un limite, verso certe sacralità, no? Se non per grazia, almeno per superstizi­one. Nemmeno questo ferma più certi, orgogliosi e spavaldi, napoletani? Che si riempiono la bocca di appartenen­za, magari con tatuaggi con 1926 e stemmi borbonici, o dicendo che «la gente del Nord, invece…», e poi si autoprocla­mano in modo automatico barbari, con tanto di corona, su tutti i telegiorna­li nazionali? Ma proprio non glielo vogliamo far vedere a chi parla di noi in un certo modo che siamo capaci di essere meglio di così?

Sembra una battaglia persa, certe volte. Possibile che la sanzione debba essere l’unico modo per reprimere? Oppure questo benedetto albero dobbiamo inchiodarl­o in terra, recintarlo, metterci di guardia i militari? C’è un modo per rendersi conto che la goliardata di turno è l’ennesima cicatrice sul volto dei napoletani? Di sicuro la colpa è dei pochi, non siamo tutti così, certo, i soliti discorsi. Ma io in una famiglia non riesco a pensare di dover lasciare indietro i più deboli, i più ignoranti, i più sciocchi. Io includo tutti. E di tutti mi occupo allo stesso modo.

L’albero è stato installato, rubato poche ore dopo e ritrovato con puntualità dai carabinier­i quasi immediatam­ente. Un copione già scritto, tanto che qualcuno, già sapendo come andava a finire ha lasciato al suo posto un cartello: «Torno subito».

Che dire, cari concittadi­ni, chiediamo tutti a Babbo Natale che l’anno prossimo nessuno tocchi l’albero della Galleria? Vogliamo concentrar­ci forte forte e sperare che qualcuno esaudisca il nostro desiderio? Oppure cerchiamo di invertire la rotta, un pezzetto alla volta, nel nostro piccolo? Magari, tutti insieme, facciamo il miracolo. Buoni e cattivi, colpevoli e innocenti. Siamo una famiglia. E ogni famiglia ha bisogno di un albero di Natale, che ci piaccia o no.

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