Corriere del Mezzogiorno (Campania)
UN APPELLO PER I TRASPORTI
Forse nell’area metropolitana di Napoli — sempre immobile, ma sempre agitata (tra razzismo anti-napoletano e pseudo-sportivo; emergenza sanità; accoglienza immigrati ecc.) — o meglio nella sua organizzazione, s’apre uno spiraglio su un aspetto cruciale della vita civile, grazie all’inaspettata saggezza di aziende e sindacati: il trasporto pubblico. L’Eav ha concluso un accordo, evitando così uno sciopero annunciato, e l’Anm sta tentando un accordo sul servizio notturno di funicolari e metropolitana, almeno nel fine-settimana. Incrociamo le dita: la prudenza non è mai troppa e in passato più volte ci siamo illusi per poi restare delusi. E anche ora, a quanto pare, c’è qualche rischio che tutto salti: alcuni sindacati non condividono questi accordi, chissà perché. E siccome a prima vista le motivazioni del dissenso sono poco chiare, e magari pretestuose, abbiamo il diritto di saperle per sottoporle alla valutazione morale della cittadinanza, prima ancora che a quella giuridica dell’Autorità di garanzia degli scioperi ex legge 146 del 1990. Forse queste organizzazioni sindacali (cosiddette «autonome» o «di base») non hanno capito che, in una società come la nostra – avanzata, ma non troppo – determinati servizi si definiscono «essenziali» perché rispondono a esigenze generali, con le quali vanno sempre contemperate le esigenze particolari di quanti a tali servizi sono addetti.
Non per nulla l’art. 43 della Costituzione prevede che “ai fini di utilità generale la legge può riservare originariamente o trasferire... comunità di lavoratori o di utenti determinate imprese o categorie di imprese, che si riferiscano a servizi pubblici essenziali ... ed abbiano carattere di preminente interesse generale». Perché una tale ipotesi, addirittura in Costituzione? Evidentemente perché si ritiene che la continuità e l’efficienza del servizio possano essere meglio garantite da soggetti che abbiano come proprio l’interesse al servizio medesimo.
Ora, poiché è fuori discussione che il trasporto pubblico sia un servizio
essenziale, è naturale che i cittadini abbiano il diritto di sapere se gli accordi non vanno a buon fine perché vengono conculcati diritti fondamentali dei lavoratori — come in Ungheria, dove per legge s’impongono ore e ore di straordinario — o perché si rivendicano maggiori riconoscimenti, che in questo momento le aziende non sono in grado di soddisfare. E non si dica che i lavoratori protestano oggi per migliorare l’organizzazione del servizio domani, cioè fra un paio d’anni. Fughe in avanti che lasciano il tempo che trovano!
Certo solo l’arretratezza ormai endemica dei nostri servizi fa apparire conquiste le cose più normali del mondo. Per esempio, consentire ai cittadini, di solito i meno abbienti, di muoversi agevolmente (di giorno e, almeno in parte, di notte) in un’area metropolitana che conta circa tre milioni di abitanti. Quella di Napoli, per giunta, è un’area complicata: è mediterranea e tende a tirar tardi la sera; è collocata tra il mare e le zone interne montuose; sono molte le strade strette
e poche quelle larghe; la grande maggioranza dei cittadini è affezionata a muoversi con l’auto propria e via dicendo. Come si pretende allora di tenere assieme l’assenza del trasporto pubblico e il disincentivo del trasporto privato, colpevole di traffico, disordine urbano e inquinamento? La riduzione delle auto private nell’area metropolitana fu tentata con qualche successo nell’ultimo lustro del secolo scorso e nei primi anni del 2000: sia perché andava migliorando il servizio, sia perché c’era il biglietto «Unico-Campania», col quale viaggiare dappertutto nell’intera regione. Un’efficienza talmente nord-europea da non poter durare a Napoli. E difatti è andata com’è andata.
Adesso gli utenti del trasporto pubblico sono sottoposti a continui intollerabili disagi, quasi da terzo mondo. Dai salti mortali per trovare i biglietti (coi distributori spesso non funzionanti) al distinguere le relative tariffe, a seconda del mezzo e dell’azienda, e fino alle interminabili attese del mezzo agognato. Sempre
nell’incertezza di quando passerà o se si troverà il cartello «servizio sospeso»: per guasto tecnico, malattia degli addetti, sciopero improvviso dello straordinario ecc... Esasperati, quelli che se lo possono permettere cercano un taxi, che non sempre trovano facilmente e che comunque costa. Insomma un calvario, vergognoso per una grande città europea e persino turistica.
Da qui l’aspettativa che con gli accordi sindacali in itinere forse almeno il trasporto su ferro (quello peraltro meno stressante per gli addetti) potrà migliorare. Che gioia sarebbe. Talmente grande da indurre ad appellarsi al senso di responsabilità di amministratori, sindacati e lavoratori del trasporto pubblico. Quando stanno al tavolo delle trattative, ricordino tutti che sono cittadini oltre che agenti di un servizio pubblico, tutti indispensabili ai povericristi che dal mattino alla sera devono penare per spostarsi nella meravigliosa (si fa per dire) area metropolitana di Napoli.