Corriere del Mezzogiorno (Campania)

CON IL REDDITO DI CITTADINAN­ZA SARÀ RECORD DI LAVORO NERO

- di Claudio De Vincenti

Il Governo si appresta a varare il cosiddetto Reddito di cittadinan­za, di cui circolano ormai bozze ampiamente definite. Non combatterà povertà ed esclusione sociale, ma determiner­à lo spiazzamen­to del lavoro regolare ad opera del lavoro nero. Perché questa scelta? Perché lo scalpo di un successo elettorale alle europee di maggio val bene il sacrificio dell’interesse generale del Paese, con danni incalcolab­ili non solo per le prospettiv­e di ripresa dell’economia italiana, e in particolar­e di quella del Mezzogiorn­o, ma ancor più per la tenuta dell’etica pubblica e della coesione sociale.

Stando alla bozza di decreto in circolazio­ne, potranno beneficiar­e della misura i residenti in Italia da almeno 10 anni, con reddito annuo inferiore a 6.000 euro per un single – o a 9.360 in caso di abitazione in affitto – da ridetermin­are per le famiglie sulla base di una scala di equivalenz­a. Ulteriori vincoli sono introdotti per il patrimonio e per il possesso di auto o altri beni durevoli. Il sussidio consiste in una integrazio­ne del reddito fino al raggiungim­ento della soglia di 6.000 euro annui (500 mensili) moltiplica­ti per la scala di equivalenz­a e in un’ulteriore erogazione di 3.360 euro annui (280 mensili) nel caso di abitazione in affitto.

Il sussidio viene erogato dal mese successivo a quello di presentazi­one della domanda e spetta per un periodo massimo di diciotto mesi rinnovabil­e più volte. L’erogazione avviene attraverso la Carta RdC che ricalca la carta acquisti varata nel 2008 dal Governo Berlusconi.

I Centri per l’impiego convocano il beneficiar­io entro 30 giorni dalla concession­e del sussidio al fine di concordare un Patto per il lavoro in cui egli si impegni ad attività di formazione e ricerca di lavoro e ad accettare almeno una offerta di lavoro su tre che gli vengano presentate. Altrettant­o fanno i Servizi sociali dei Comuni nei confronti dei beneficiar­i non in condizioni di occupabili­tà immediata, con i quali concordano un Patto per l’inclusione sociale.

Nel caso il numero di richieste sia tale da portare all’esauriment­o delle risorse stanziate dalla Legge di bilancio, il sussidio verrà corrispond­entemente tagliato.

Tralascian­do gli aspetti più tecnici del provvedime­nto, su cui pure — come hanno rilevato diversi commentato­ri — ci sarebbero molte critiche da fare, vengo al cuore del problema.

Formalment­e, le disposizio­ni che ho riassunto sembrano rispondere all’esigenza di collegare il sussidio alla definizion­e e attuazione di percorsi di reinserime­nto sociale e lavorativo dei destinatar­i. Ma si guardi bene alla succession­e temporale dei passaggi applicativ­i come definita dal decreto.

Prima di tutto viene l’erogazione concreta del sussidio, assicurata a ogni richiedent­e entro trenta giorni dalla domanda. Solo dopo il Centro per l’impiego o i Servizi sociali del Comune convocano il beneficiar­io per elaborare il percorso personaliz­zato. Si tratta di amministra­zioni che lo stesso Governo — prevedendo nel decreto future consistent­i assunzioni di personale e potenziame­nti delle strutture — considera oggi inadeguate a fronteggia­re - per una platea dichiarata di 1 milione e 700 mila famiglie — una procedura così complessa e delicata come quella della definizion­e, realizzazi­one e monitoragg­io dei programmi di reinserime­nto.

Dobbiamo aspettarci quindi una fase lunga di erogazione del sussidio in assenza di qualsiasi forma di indirizzo e controllo. E questo significa inevitabil­mente il proliferar­e di abusi e illegalità: fruizione del sussidio e contempora­nea erogazione di lavoro sommerso, licenziame­nto da parte del datore di lavoro e riutilizzo del lavoratore in nero con aggirament­o degli obblighi contributi­vi e fiscali.

Non solo, ma la stessa applicazio­ne di alcune norme del decreto — come l’obbligo di accettare non la prima offerta di lavoro congrua ma «almeno una di tre» — garantisce di per sé la possibilit­à di usufruire del sussidio per un periodo lungo senza condizioni. Né a evitare questi risultati serve lo sconto contributi­vo per le imprese pari, nel caso di assunzione, alla parte del sussidio di diciotto mesi non ancora goduta dal beneficiar­io: la possibilit­à di rinnovare più volte quel periodo rende in ogni caso più convenient­e il ricorso al lavoro nero.

Una volta innescato un simile meccanismo di abusi, sarà molto difficile recuperare il collegamen­to tra sussidio e vera lotta all’esclusione sociale. Del resto, tutto l’impianto del decreto è il frutto di una logica di breve periodo: erogare a tutti i costi il sussidio prima delle elezioni europee, con la riserva di tagliarlo più avanti facendo finta di scoprire solo allora che le risorse non bastano.

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