Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Per niente Candida

- di Candida Morvillo

Mi sono ritrovata a indossare un tuo vestito. Pensa, io che ti riprendevo spesso perché non amavo il tuo stile... Di rimando, mi rispondevi che ero io a non capire la tua classe! E poi, partiva la storia che amavi raccontare. Eri la nipote di un ricco commercian­te.

Eravate conosciute nel tuo quartiere, per la vostra classe, eleganza e signorilit­à. Finché non precipitas­te nella miseria più nera, ma nonostante la disgrazia, una sarta che ti cuciva i vestiti, copiati dalle riviste di moda degli Anni Cinquanta, ti rendeva ancora bella. Elegante.

Un tempo, il mio rapporto conflittua­le con te mi faceva male. Oggi, ho scelto di ricordare il meglio di noi. Ora che non ci sei più, mi sembra di profanare la libertà di chi non può più remarmi contro...

Mi guardo allo specchio e lo trovo bello, il tuo vestito. Forse, avevi la mia età quando lo indossavi. Magari se mi vedesse mia figlia, la penserebbe esattament­e come la pensavo io trent’anni fa!

Mi svesto lentamente, sistemo il tuo abito tra gli altri tuoi vestiti. Quelli che abbiamo scelto di non regalare a perfetti sconosciut­i. Abbiamo scelto di conservare qualcosa di te. Qualcosa che ci legava a momenti felici.

Mi sento una bambina che gioca nell’armadio della mamma. Per un momento mi sono sentita tale. Piccoli istanti rubati alla mia adulta età. Mi sono concessa ricordi, profumi e memorie. Richiudo l’armadio. Richiudo la porta della tua camera da letto e so che ti ho perdonata. Mi sono perdonata. Oggi, quando mi dicono che inizio a somigliart­i, un po’ sono felice.

In salotto, vedo mio padre. Capelli d’argento, sguardo stanco. Anche lui sta sopravvive­ndo alla vita. Lo comprendo senza accusarlo. Anzi, mi chiedo come si faccia ad andare avanti quando nei tuoi occhi c’è solo il buio... Provo solo infinita tenerezza. Vorrei potesse vedere, per ritrovare sul mio viso i tratti della sua donna. Del suo antico amore.

Mi è tornata in mente una citazione che ho letto tempo fa: «Ho la bocca di mia madre e gli occhi di mio padre. Sul mio viso sono ancora insieme...».

Mariarosar­ia Gallo

Cara Mariarosar­ia, la ringrazio per questa lettera indirizzat­a a sua madre che non c’è più. Ha aperto armadi della nostra infanzia contenenti memorie che appartengo­no a tutti. Ho rivisto il vestito buono di mia madre, un tailleur celeste, giacca e gonna. Sembrava fatto dalla brava sartina di cui scrive lei, tanto le stava a pennello. La ricordo con quell’abito alla stazione, sullo sfondo un cespuglio di rododendri, in un giorno di primavera. Noi non abbiamo fatto in tempo a dirci molto, non ho mai saputo la storia di quel vestito. Se n’è andata che ero bambina e non ha mai potuto remarmi contro, com’è normale che le mamme facciano. Se non lo fanno, se non ci creano problemi, non metteremmo mai alla prova il nostro libero arbitrio e non impareremm­o a capire chi siamo. Su questo, per fortuna, mi è bastato e avanzato il rapporto conflittua­le con mio padre. Concordo con lei: capiamo sempre troppo tardi, capiamo sempre, solo, quando siamo noi stessi adulti. E soltanto allora comprendia­mo profondame­nte anche le fragilità e i limiti di chi ci ha cresciuto e abbiamo preteso essere infallibil­e, e diventiamo magnanimi e, finalmente, perdoniamo. Perdonare è la pacificazi­one, è accogliere l’altro in noi e scoprire che stiamo perdonando fragilità che sono anche nostre. Di troppe cose ci accorgiamo in là col tempo, ma è solo quando diventi che capisci. Per crescere, serve che ognuno faccia il suo percorso a ostacoli.

Il momento in cui richiudiam­o la porta della camera da letto della madre, svuotata ormai di tutto o quasi, è l’inizio di un paradigma diverso. È quando dobbiamo coprire i vuoti di chi non c’è più che siamo costretti a metterci nei panni di chi non c’è più. L’anziano padre che sta di là sul divano non vede con gli occhi, ma solo coi ricordi, e ora lei, Mariarosar­ia, lo capisce e non lo accusa, perché è lei che resta e ha una saggezza che non è solo sua, ma è più antica. Se ne andranno tutti gli altri, uno alla volta, se noi stiamo bene. E stiamo bene se ogni giorno abbiamo imparato una cosa nuova che ci fa più grandi e più saggi e più sani.

Le mamme, quando se ne vanno, lasciano dietro di sé scie di profumi e rancori. Sono state le donne che abbiamo dovuto vincere per diventare. Sono le donne di cui qualcosa resterà sempre dentro di noi, che lo vogliamo o no. Capita che, arrivate a una certa età, te le ritrovi sul viso, scopri somiglianz­e che prima non c’erano, come se la loro influenza ci lavorasse dentro e ci scolpisse dall’interno. Scegliamo di tenere solo i vestiti più

belli, non dovremmo far finta che non siano esistiti gli abiti sbagliati, bisogna dirsi anche cosa non andava per non replicare gli errori, quei piccoli modi, tic, le stereotipi­e che a volte acquisiamo senza accorgerce­ne. Il compito di chi resta è provare a essere migliore di chi se n’è andato. Altrimenti, c’è la retorica del lutto, che è fissità, e nessuno dovrebbe restare inchiodato a un santino.

In amore si deve fare il possibile, senza paura di andare a sbattere

Cara Candida, mi piace molto una donna e abbiamo più o meno una relazione e lei però ha un’altra relazione agli inizi. Io so dell’altro, ma lui non sa di me. Ci sono molte cose che non capisco. Lei esce spesso con me, si ferma a dormire da me, ma non abbiamo mai avuto rapporti completi, lei si tira indietro, non vuole, si sente legata all’altro, però trova in me qualcosa che anche le piace. Noi ci prendiamo molto di testa. Con l’altro non so, credo che sia un uomo con una posizione migliore della mia, affermato, viziato, che si fa desiderare. Ho capito che non dormono mai insieme, credo che sia lui che non vuole. Lei mi piace molto, ma mi sento usato. Cara Candida, secondo lei, questa ragazza ama l’altro e mi usa come ruota di scorta?

Franco

Caro Franco, si sta concentran­do troppo sul suo rivale. Proverei a ribaltare i termini. A lei piace molto una donna sfuggente. Davvero le piace molto? Se la risposta è sì, non starei a chiedermi che cosa vuole questa donna dall’altro tizio. Quando un amore è all’inizio, finisce spesso così, che c’interroghi­amo sui desideri dell’amato e ci dimentichi­amo di perseguire i nostri. Poco conta se questa donna ha già scelto l’uomo viziato e viene da lei solo per compensare d’essere stata respinta con perdite. Lei può comunque provare a prendersel­a, però sentirsi la ruota di scorta non la aiuterà a muoversi dal piccolo recinto in cui si è fatto parcheggia­re. Nel dubbio, vale sempre la pena ingranare la marcia e fare il possibile, senza farsi frenare dalla paura di andare a sbattere. Quella paura si chiama orgoglio, vale assai meno della felicità.

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Egon Schiele «Madre e figlia», particolar­e

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