Corriere del Mezzogiorno (Campania)
UN ANNO SENZA IL MAESTRO DI UN MERIDIONALISMO FORTE
«C’è ancora una questione meridionale?»: si apriva così il bellissimo saggio in cui, nel 2016, Giuseppe Galasso forniva uno spaccato dei tratti nuovi assunti oggi dalla «vecchia questione» che, come mostrano i dati sulla «evidente persistenza del divario fra le due Italie», è ancora, «a XXI secolo più che avviato, sul tappeto della folta problematica italiana». E si concludeva con il suo invito pressante a «recuperare tutta la carica culturale, morale, ideale della grande politica da dare al discorso sul Mezzogiorno di oggi; e vedere fino a qual punto il problema Mezzogiorno coincida e faccia tutt’uno con il problema Italia».
Alla questione meridionale e alle sue trasformazioni nel tempo, dall’unità ad oggi, Galasso ha dedicato una parte ampia della sua attività di storico dell’Italia e dell’Europa e del suo stesso impegno politico, fino ai suoi articoli domenicali sul Corriere del Mezzogiorno nei quali – come ha scritto Antonio Polito nella Prefazione ai quattro volumi che raccolgono quelli fino al 2015 – il grande meridionalista costruiva «la storia attraverso la cronaca».
Ed è appassionante seguire l’evoluzione del suo pensiero che fa tutt’uno con l’evoluzione della società e dell’economia meridionali.
Dalla lucida analisi, avanzata nell’Intervista del 1978 sulla storia di Napoli, centrata sulla «modernizzazione senza sviluppo» — allineamento, almeno parziale, di costumi, mentalità, comportamenti allo standard medio del Paese senza corrispondente allineamento della struttura produttiva, di lavoro e di reddito — all’osservazione dell’emergere graduale di capacità imprenditoriali, di competenze lavorative, di iniziative della società civile pur entro un tessuto economico e sociale ancora slabbrato, quale ci propone nei suoi articoli sul Corriere del Mezzogiorno e fino al saggio del 2016 che ho richiamato all’inizio.
Del resto, proprio nell’Intervista del 1978 Galasso avvertiva che «per un mutamento profondo del livello economico e sociale, come anche della vita morale, di una comunità occorre che vi sia nella comunità un ruolo di protagonista della trasformazione». E di conseguenza, nel 2016 poteva osservare che «il Mezzogiorno non parte da zero. Ed è per tale motivo che vale di ripetere l’ammonimento a osservare le cose del Mezzogiorno con un certo strabismo: ossia, con un occhio rivolto al permanere del divario rispetto alle aree di maggiore sviluppo e con l’altro rivolto a misurare il cammino che intanto, e comunque, il Mezzogiorno fa».
E così, negli ultimi anni, Galasso segue e mette in evidenza i segnali di risveglio che vengono dal Meridione e registra con attenzione la ripresa produttiva del triennio 2015-17, chiarendo l’interazione tra i fattori autonomi messi in campo dalla società meridionale e le politiche messe in campo dal Governo. Scriveva così sul Corriere del 31 dicembre 2017: «Il vero problema del Mezzogiorno è di avviare un processo di sviluppo di lungo periodo» che faccia riferimento «alla sua iniziativa, alle sue risorse e alle sue capacità. Questo attuale, per quanto minuscolo, progresso sembra avere tali caratteristiche. Se si consolidasse nel tempo, se acquistasse una diffusione territoriale maggiore, se diventasse un dato a lungo permanente dell’economia meridionale, potremmo dire di avere finalmente imboccato la via buona».
Ma al tempo stesso registrava come la ripresa italiana e meridionale arrivasse dopo lunghi anni di crisi che hanno segnato di ferite profonde il tessuto sociale del Paese. «Quel che impressiona di più — scriveva il 17 dicembre 2017 — appare sempre più evidentemente la depressione, lo scoraggiamento, la conseguente incertezza, una delusione molto superiore al risentimento e al rancore, e anche una sorpresa ricorrente per qualcosa che non ci si attendeva per nulla e che non si riesce affatto a capire, sicché alla fine l’atteggiamento prevalente e dominante si traduce in un senso di vuoto».
E così gli ultimi suoi articoli sono contrassegnati da una urgente preoccupazione per le sorti d’Italia e del Mezzogiorno che lo spinge a scrivere: «Nei periodi di complicazioni, oscillazioni, incertezze, fluttuazioni, agitazioni, non sono i più deboli a cavarsela meglio. Un cedimento al voto a dispetto, al voto di pura protesta, di credulità in miracolose operazioni politiche e sociali nuocerebbe gravemente a tutto il paese, ma innanzitutto e soprattutto allo stesso Mezzogiorno» (7 gennaio 2018).
Martedì 12 febbraio è un anno da quando Giuseppe Galasso ci ha lasciati. Sento verso di lui e verso i lettori tutta la responsabilità di scrivere nello spazio che il Corriere gli aveva riservato: mi sostiene il suo insegnamento di un meridionalismo forte per un Mezzogiorno risorsa d’Italia.