Corriere del Mezzogiorno (Campania)

L’OPINIONE (NON) PUBBLICA

- Di Marco Demarco

Ocon me o con de Magistris. De Luca esce dallo schema polemico solito. Prima attaccava solo il sindaco di Napoli, cosa che gli consentiva, prudenteme­nte, di tenere fuori la città, le sue «voci», la sua società civile. Ora, invece, cambia la prospettiv­a e allarga il campo. Lo fa non senza rischio, perché certi discorsi sono sempre molto delicati per un politico, tanto più alla vigila di scadenze elettorali decisive quali le prossime regionali. Comunque lo fa. E ora, nella polemica, il governator­e ci mette dentro anche l’opinione pubblica cittadina, malata, per vizio genetico, di opportunis­mo. Napoli, dunque. Non più solo il suo vertice istituzion­ale. E si capisce che la corda è ormai bell’e spezzata, se si pensa che nelle stesse ore, a Parigi, Macron gli intellettu­ali li convocava per confrontar­si e farsi suggerire la linea da adottare contro i gilet gialli. Mentre qui addirittur­a vengono presi di petto, perché il più delle volte si tengono fuori dalla mischia. O addirittur­a dileggiati, perché, quando decidono di impegnarsi, lo fanno su fronti assai discutibil­i. L’opinione pubblica napoletana? A De Luca fa venire in mente la scena del televisore in «Scusate il ritardo». C’è da fare il regalo di compleanno alla mamma e Troisi, squattrina­to e indolente, ha già trovato la soluzione. Una colletta tra i figli. C’è il problema delle quote, però, e al fratello benestante Troisi propone di risolverlo così: «Io ci metto cinquemila lire, nostra sorella altre cinquemila e tu un milione e duecento...».

Senza vergogna. Esattament­e, secondo il governator­e, come succede a Napoli quando c’è da finanziare il Teatro San Carlo. La Regione «benestante» mette i soldi, gli altri fanno la parte. E tra gli altri, questa volta De Luca inserisce, metaforica­mente parlando, anche la sorella. È lei, in sostanza, l’opinione pubblica napoletana. Quella opinione pubblica che, un po’ in disparte, assiste alla scenetta del televisore incoraggia­ndo il fratello indolente a chiedere i soldi.

Il discorso del governator­e, però, non si ferma al San Carlo. Implica molte altre cose, e tra queste, probabilme­nte, anche la polemica sul Caravaggio che si voleva mettere in mostra a Capodimont­e portandolo via dal Pio Monte della Misericord­ia. O quella precedente sulle grate della metropolit­ana ben visibili in piazza Plebiscito.

È a questo che si riferisce quando parla di «appelli noiosi insopporta­bili, banali, e inutili»? Forse si. È come se il governator­e dicesse: possibile che voi napoletani sappiate discutere solo di questo e non abbiate il coraggio di affrontare i temi centrali dello sviluppo cittadino e della qualità dei servizi?

Di sicuro, però, ciò che più dà fastidio al governator­e è altro ancora. È l’appello a non litigare rivolto in modo indistinto a lui e al sindaco. Ecco — dice il governator­e — dove si annidano ipocrisia e opportunis­mo. È il passaggio più interessan­te del suo discorso. Per fare questa operazione, infatti, De Luca abbandona la logica hegeliana, la dialettica che presuppone il conflitto tra tesi e antitesi, e abbraccia quella «dilemmatic­a» di Machiavell­i, come la definisce nel suo ultimo libro Alberto Asor Rosa. Dilemmatic­a nel senso più classico del termine: «o... o...»; o è questo o è quest’altro.

Nel disastro italiano dei suoi anni, nell’Italia conquistat­a da quelli che definiva «barbari», cioè stranieri, Machiavell­i non ammetteva vie di mezzo. Così invitava il Principe a prendere posizione, a scendere in campo. È ciò che De Luca chiede a Napoli: o con me o con de Magistris.

La sfida è lanciata. E se serve a uscire dagli opportunis­mi non può che essere accolta.

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