Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Quando il Vesuvio aiutò i bombardieri Usa
La colonna di fumo alta 10 km segnalava ai piloti la direzione
Ben 75 anni fa, davanti al monastero di Monte Cassino, l’Italia era divisa non solo geograficamente, ma anche nell’affetto delle famiglie, nella fedeltà alla casa reale, al fascismo, a un’idea differente del futuro; 75 anni fa, si scioglieva la neve nel bosco dei Limmari di Pietransieri, borgo di Roccaraso e riportava alla luce i corpi di 128 vecchi, donne e bambini, colpevoli solo di cercare di sopravvivere ad un freddo inverno, sterminati dalla cieca furia omicida nazista.
Napoli, 75 anni fa, era la tumultuosa retrovia dello sforzo bellico alleato, cosi magistralmente descritta in Napoli milionaria di Eduardo De Filippo, nella Pelle di Curzio Malaparte, in
Napoli ’44 di Norman Lewis; 75 anni fa, agli scavi di Pompei si cercava di porre rimedio ai danni causati alcuni mesi prima da un insensato bombardamento alleato e, dal vicino aeroporto di Terzigno, partivano i bombardieri B25 Mitchell dell’operazione
Strangle, destinata a tagliare i rifornimenti ai tedeschi attestati intorno a Monte Cassino e, con essi, a distruggere l’intero Monastero; 75 anni fa, dal conetto del Vesuvio all’interno del Gran Cono pieno di lava, si sollevava il pennacchio di vapore che, sicuro indicatore della direzione del vento faceva presagire le future condizioni meteorologiche.
L’eruzione del 18 marzo
Ben 75 anni fa, improvvisamente, il 18 marzo 1944 una strana quiete veniva osservata dal sismografo che registrava il crollo del conetto ed una stasi nell’attività sismica. Infine, la sera di quel 18 marzo, dopo alcune esplosioni, con un’abbondante emissione di lava, inizia l’eruzione. Il magma trabocca in diversi punti e una colata scende verso Sud, arrivando fino alla quota di 300 metri sul livello del mare. Un altro ramo di lava scorre verso Nord, dal ripido bordo esterno del cono fino all’area pianeggiante all’interno del Somma, che segue fino all’imbocco del Fosso della Vetrana. La sera del 19, la lava raggiunge le prime case di Massa e San Sebastiano, invade gli abitati e poi avanza verso Cercola che, fortunatamente, sarà risparmiata. La mattina del 19 iniziano le esplosioni intermittenti con lanci di brandelli di lava sino a 150 metri di altezza. Nel tardo pomeriggio del 21 marzo, le esplosioni diventano continue e si forma una colonna incandescente, con “fontane” di lava che si alzano sino a 2 Km sopra il cratere. La prima fontana dura 30 minuti e il materiale incandescente che ne ricade si accumula sulle pendici esterne del Gran Cono, dalle quali poi scivola verso la base. Alle 17,30 ritorna una calma quasi totale.
La lava che avanza
La pausa dura fino alle 8 di sera, allorché inizia una nuova fontana di lava che dura 20 minuti ed è seguita da un’altra pausa. Questo andamento si ripete durante la notte e tutto il mattino seguente. Le fontane di lava saranno otto, l’ultima delle quali rappresenta il momento più violento di tutta l’eruzione. Dal mezzogiorno del 22 marzo l’eruzione cambia gradualmente e, oltre al materiale incandescente, vengono emessi anche pezzi di roccia strappati dal condotto. La sera del 22 marzo, riprendono le esplosioni che durano fino alle prime ore del giorno successivo, per poi decrescere gradualmente. Nel corso dello stesso giorno le colate si arrestano completamente. Quando il pericolo peggiore sembra essere passato, a mezzogiorno del 23 si cominciano a sentire un numero sempre crescente di scosse sismiche che precedono una nuova fase dell’eruzione. Infatti, dalle 14, comincia un’alternanza di scosse sismiche e esplosioni con emissione di cenere scura, dopo di che inizia una graduale riduzione dei fenomeni. Il 24 marzo continua l’emissione di ceneri che diventano più chiare e nei giorni successivi le esplosioni sono sempre più rare e meno forti fino al 29, quando l’eruzione può dirsi conclusa. Tutta l’attività si riduce a semplici esalazioni fumaroliche. Terminate le esplosioni, le pareti del cratere e i fianchi del Vesuvio iniziano a essere interessati da fenomeni di assestamento. Il 29 marzo il cratere presenta una profondità centrale rispetto all’orlo di 300 metri e un perimetro di 1,6 Km. L’orlo Ovest, il più interessato dalle frane, risulta a 1.169 metri e quello Nord-Est a 1.300 metri. Il bordo del cratere pur essendo alquanto irregolare, si avvicina, visto dall’alto, alla forma ellittica con l’asse maggiore di 580 metri (Est-Ovest) e quello minore di 480 metri (Nord-Sud). Per i continui fenomeni di frana il cratere subisce negli anni successivi numerose modificazioni. L’eruzione del 1944, sebbene non differente da altre avvenute nei 300 anni precedenti, segna la fine del lungo periodo iniziato con il violento evento esplosivo del 1631. Quelle più intense, avvenute nel corso della prolungata attività continua, sono ora definite “Stromboliane Violente”, anche se, in precedenza, più correttamente, erano indicate per le loro specifiche caratteristiche come Vesuviane.
La fase esplosiva
Questi eventi iniziano con l’emissione di una veloce colata di lava che, dal cratere sommitale o da fratture laterali, raggiunge la base del vulcano. A questa fase segue un’attività esplosiva, con la formazione di una colonna eruttiva che può raggiungere anche i 10 km di altezza, come avvenuto nel 1906, o come i 5 km nel 1872 e nel 1944. Questa successione eruttiva è interpretata con l’arrivo di porzioni di magma ricco in gas che spingono all’esterno del cratere il magma ristagnante nella zona superiore del vulcano, cui è ricollegata la rapida emissione della colata di lava. Esaurita la fuoriuscita di magma con abbondanti fasi cristalline e scarso contenuto gassoso, raggiunge la superficie anche il magma ricco in gas che determina le fontane di lava e la successiva formazione della colonna eruttiva sostenuta, dalla quale sono disperse ceneri, scorie e pomici secondo la direzione dei venti prevalenti.
Il cratere collassa
Lo svuotamento rapido del tratto terminale del condotto provoca il collasso della parte interna del cratere e la formazione dell’ampia struttura odierna, incrementata da successivi franamenti, che può essere definita come una piccola caldera da collasso. Il collasso del 1944 sembra avere sigillato il sistema di risalita in maniera maggiore rispetto ai secoli precedenti e il magma, che probabilmente ha continuato a muoversi verso l’alto, non è riuscito a superare l’ostacolo, ha rallentato e si è raffreddato non lontano dalla superficie, incrementando l’opera di ostruzione iniziata nel 1944. Questo processo ha nel contempo favorito l’accumulo di magma a livelli più profondi, con probabile formazione di sempre più ampia camera magmatica. È questo il magma che sarà responsabile della futura attività del Vesuvio, che la nostra generazione cresciuta all’ombra di un vulcano quiescente, forse non potrà vedere.