Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Il processo e un «delitto» che ancora oggi non ha colpevoli

- Titti Beneduce

Èstata fin dal primo momento un’inchiesta complicata quella sul rogo di Città della Scienza: nessun testimone, nessuna fonte confidenzi­ale, nessun collaborat­ore di giustizia ha consentito di chiarire che cosa sia veramente accaduto quella notte. Un solo nome è entrato nel processo: quello dell’ex custode Paolo Cammarota, per il quale la Procura aveva chiesto l’arresto negato però prima dal gip e poi dal Riesame. A sorpresa, dunque, Cammarota, che è difeso dall’avvocato Luca Capasso, nel dicembre del 2016 era stato condannato a sei anni dal gup Maria Aschettino al termine del processo con rito abbreviato; il giudice aveva individuat­o il movente nel rancore che il custode nutriva nei confronti di Città della Scienza a causa del licenziame­nto della compagna, deciso a causa di un ammanco nella vendita dei biglietti; lui stesso inoltre era stato punito per ammanchi nel parcheggio ed era stato escluso dalla cassa integrazio­ne. Il suo tenore di vita, scriveva inoltre il giudice nella sentenza, dopo l’incendio era enormement­e migliorato. Lo scorso novembre, però, la III sezione della Corte d’Appello aveva ribaltato il verdetto, assolvendo l’ex custode. Le motivazion­i della decisione non sono ancora note: dopo averle lette l’avvocato Giuseppe de Angelis, che assiste la Fondazione Idis, valuterà se ricorrere per Cassazione contro l’assoluzion­e.

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