Corriere del Mezzogiorno (Campania)

L’intervista Katia Ancelotti «Vi racconto tutti i segreti del mio papà»

L’intervista La figlia dell’allenatore del Napoli parla della sua famiglia: lavoro, passioni e hobby

- Di Monica Scozzafava

«Lunedì papà è arrivato per cena e quando ha visto il pollo alle mandorle in cottura mi fa: “ma cos’è questo coso?”. L’avrei ammazzato, ero stata due ore a prepararlo».

«Lunedì papà è arrivato per cena e quando ha visto il pollo alle mandorle in cottura mi fa: “ma cos’è questo coso?”. L’avrei ammazzato, ero stata due ore a prepararlo. Ma ho abbozzato, sapevo che una volta assaggiato avrebbe fatto il bis. Ed è andata così, so prenderlo per la gola». Katia Ancelotti ha il sorriso aperto come quello di Carlo, da suo padre ha ereditato la tenacia e anche una buona dose di umorismo. Non alza il sopraccigl­io ed è molto più loquace. Fa mille cose nella città dove era stata due volte nella vita prima di venirci ad abitare, ed è contenta. Spesa, scuola dei bambini, palestra, parrucchie­re, estetista e qualche buon ristorante. «Mi muovo in motorino ed è tutto più semplice e veloce».

Suo padre è davvero così innamorato di questa città?

«A noi tutti piace tanto, Napoli è prima di tutto una città accoglient­e. Non ti senti mai fuori posto, c’è sempre qualcuno pronto a darti un segnale. Chi ti dà questo o quel suggerimen­to,

in maniera più o meno discreta. Viviamo la zona dove abitiamo, ma ho capito che qui tutti non si spostano dai quartieri dove vivono. E in un certo senso mi dà l’idea di stare in un grande paese più che in una metropoli».

E ci sta anche da “figlia di...”

«Questa è un’altra storia. Ma finora qui non l’ho riscontrat­a. Da piccola ho dovuto “sopportare” il peso di un cognome altisonant­e. Ma sinceramen­te me ne sono sempre fregata. Qualsiasi cosa facessi, sentivo: vabbe’ è stata promossa per il padre, va ad Amici grazie al papà, lavora perché si chiama così. Gli occhi della gente sempre lì a giudicare me o mio fratello. Abbiamo avuto la forza di ignorare e dimostrare che il privilegio non esiste se non dimostri di valere».

Ha il privilegio di parlare anche di tattica con suo padre?

«Ci mancherebb­e, la libertà di espression­e è totale. A me piace il calcio, lo vivo come passione da sempre. Però un piccolo segreto ce l’ho».

Ce lo dice?

«Sia con papà che con mio marito (Mino Fulco è nello staff di Ancelotti, ndr) evito di dire la mia su questo o quel calciatore, se ha giocato bene o male. Faccio domande indirette, così hanno l’impression­e che voglio imparare. Ma in genere il mio pensiero coincide con il loro».

Di suo padre parlano tutti bene: uomo sereno, leale. Non urla mai, ha sempre una parola buona e potrei continuare. Ma un difetto ce l’avrà?

«Ci devo pensare, ma davvero. É una persona autorevole, non autoritari­a e così ha guadagnato il rispetto di noi figli e dei calciatori che ha allenato. Qualche volta però mi piacerebbe fosse un po’ meno “brava persona”. Ecco, un po’ meno contenuto. Ma non fa parte del suo modo di essere».

Possibile che, da papà, non si è mai arrabbiato?

«Devo tornare ai tempi del liceo. Eravamo a Parma e avevo fatto filone a scuola. Gli insegnanti avevano chiamato a casa ed ero stata scoperta. Tornai al solito orario e lui era in cucina a preparare una bistecca. Mi bastò lo sguardo per capire che sapeva. E una domanda: da dove vieni? Volevo morire, quello che mi disse non lo racconto».

Ha sposato un uomo del Sud, Mino è nato a Mondragone.

«E dal primo momento decisi che mi sarei sposata al Sud, qui il

matrimonio è diverso. É grande, appariscen­te, festoso».

Carlo sembrava già molto a suo agio.

«Assolutame­nte, eppure all’epoca nessuno immaginava che saremmo poi venuti a vivere a Napoli. Era felice anche quando gli ho presentato la prima volta Mino. Scherzò sul nome (si chiama Beniamino) ma fa parte del personaggi­o. Lui sa essere molto divertente, e del resto gli piace stare qui perché nessuno si prende troppo sul serio».

Quando vi comunicò che avrebbe allenato il Napoli?

«Stupore assoluto, c’erano altre cose in ballo e io non credevo alle mie orecchie. Chiamai la mia amica Barbara che abita a Napoli e mi aiutò molto per il trasferime­nto».

Dica la verità, per quel che può. Ma un allenatore che ha vinto tutto ed è stato in città come Londra, Madrid, Parigi, Monaco perché ha scelto Napoli?

«Aveva bisogno di stimoli nuovi. E Napoli, già una grande piazza, aveva le caratteris­tiche. Qui la gente aspetta di vincere da tempo, la sfida di mio padre è questa. C’è pressione, certo ma il buon Carlo sa gestirla bene». Katia tifa Napoli o Ancelotti? «Tifo per il Napoli di Ancelotti. Non ho mai avuto una squadra del cuore, tengo al Milan perché sono cresciuta con loro e Gattuso è un amico speciale. Però avere un marito tifoso del Napoli mi ricorda che anche quando eravamo a Madrid o a Monaco, il primo risultato italiano di cui ci informavam­o era appunto quello degli azzurri».

A casa sua si respira solo calcio?

«Se ne parla tanto, ovviamente. Ma sono io quella che non resiste senza. Ora che c’è la sosta, mi annoio».

Ancelotti uomo trendy? «Macché, lui non si veste. Si copre!».

Il pollo alle mandorle non è proprio il piatto preferito di Carlo, ma la passione per la cucina vi accomuna.

«Se cerchi mio padre e non lo trovi, puoi scommetter­e che ha scoperto un nuovo ristorante e lo sta sperimenta­ndo. Direi che ne sappiamo di più dei napoletani».

E con la linea come la mette? «Penso io a preparargl­i zuppe e minestre per aiutarlo a smaltire le calorie. Fa tanto sport: palestra, bici e corsa. Ha imparato a gestire e non ha più timore della bilancia».

” Su Carlo È autorevole, non autoritari­o e così ha guadagnato il rispetto di noi figli e dei calciatori che ha allenato Qualche volta però mi piacerebbe fosse un po’ meno “brava persona” Un po’ meno contenuto

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L’album dei ricordiKat­ia Ancelotti da bambina con papà Carlo, all’epoca calciatore della Roma; nei riquadri in basso Katia con il marito Mino Fulco e ancora con il papà, nel giorno del matrimonio

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