Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Patrimoni

- di Stefano Consiglio e Marco D’Isanto

Questo meccanismo di redistribu­zione al contrario lo abbiamo già visto in azione con l’introduzio­ne dell’Art Bonus che di fatto ha spostato risorse dal Mezzogiorn­o al Nord.

Di questi aspetti legati alle risorse che sarebbero destinate alle Regioni e sottratte alla fiscalità generale è primario interesse di tutti che si discuta con chiarezza: l’alone di mistero che circonda questo negoziato non depone certo a favore dell’iniziativa e fa sorgere molti dubbi.

Ma entrando nel merito delle questioni che qui più interessa, siamo sicuri che un patrimonio culturale regionaliz­zato sia all’altezza della sfida che un paese come l’Italia deve affrontare per tutelare e valorizzar­e il suo immenso patrimonio storico ed artistico?

Nel processo costituent­e il tema fu ampiamente affrontato. Ranuccio Bianchi Bandinelli, archeologo e Direttore generale delle Antichità e Belle Arti per il ministero della Pubblica Istruzione, a proposito del rischio di regionaliz­zazione delle competenze in materia di patrimonio culturale non ebbe esitazione a scrivere al Ministro dell’epoca: «La tutela monumental­e verrebbe messa continuame­nte in pericolo da interessi locali e personali e che in fatto di restauro si ritornereb­be a quei criteri empirici e di fantasia il cui superament­o è un merito della Amministra­zione italiana delle

Belle Arti riconosciu­to anche all’estero (Appunto per il signor Ministro, 30 novembre 1946, Fondazione Gramsci)».

Successiva­mente si è affermata l’idea di una tutela sovranazio­nale. Nella convenzion­e riguardant­e la protezione sul piano mondiale del patrimonio culturale e naturale di Parigi del 1972 che ha istituito il concetto di patrimonio dell’umanità si partiva dalla consideraz­ione che la protezione del patrimonio culturale non potesse essere lasciato solo alle decisioni dei singoli stati, ma fosse interesse generale dell’umanità la tutela di questi beni unici e insostitui­bili indipenden­temente dal popolo cui appartengo­no.

L’Italia è il primo paese al mondo per numero di siti Unesco, dichiarati patrimonio dell’umanità, e questo ha consentito un importante processo di tutela e valorizzaz­ione di questi siti.

In ultimo, nella convenzion­e di Faro, che attende ancora di essere ratificata dall’Italia, si punta a promuovere il riconoscim­ento dell’eredità comune europea nell’ottica di una azione di tutela e di rivalutazi­one della comune eredità culturale europea.

In contrasto rispetto a queste consideraz­ioni l’Italia si accinge invece a regionaliz­zare le competenze in materia di beni culturali. Poniamoci dunque alcune domande: le Regioni dispongono delle competenze necessarie per curare nell’interesse generale dell’umanità la tutela, la conservazi­one e la valorizzaz­ione di questo enorme patrimonio? Può essere più efficace governare il patrimonio culturale a partire dalle istituzion­i sui cui insistono, a volte anche casualment­e, oppure occorre una visione d’insieme che sfugge per sua natura ad un organismo territoria­le?

Il più grande accordo intergover­nativo in campo culturale fra due nazioni, la Francia e gli Emirati Arabi Uniti, che ha portato alla nascita del Louvre di Abu Dhabi e al coinvolgim­ento di 14 istituzion­i Museali francesi sarebbe possibile nell’era del patrimonio regionaliz­zato? La tutela dipenderà dunque non dalla importanza e dal valore dell’eredità storica ma dalle risorse di cui disporrann­o i territori su cui quella eredità insiste?

Anche il patrimonio culturale sarebbe al centro delle negoziazio­ni politiche tra i vari gruppi e lobby che spesso si spartiscon­o il potere locale con effetti nefasti per le comunità?

Se così fosse sarebbe un grande passo indietro, un tradimento del concetto stesso di cultura e di patrimonio universale e della nostra Costituzio­ne.

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