Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Int ’o rione

- di Fortunato Cerlino

L’ospedale e l’esodo delle formiche

«Ma pecché quest’aria abbattuta?». «Eh!».

«E andiamo, non è la fine del mondo!».

«Nientedime­no? Ci stanno sfrattando!».

Il viale Comandante Umberto Maddalena è particolar­mente trafficato oggi. L’esercito di minuscoli migranti avanza imperterri­to tra marciapied­i sconnessi e pneumatici consumati che alzano acqua sporca dalle buche lungo il tragitto. Le onde altissime mietono vittime nella colonia di esiliati, ma sono talmente tanti che nessuno ci fa caso.

«Quanto ci metteremo?». Chiede la femmina dietro i due che comandano la fila.

«Uno, due giorni». Risponde il più anziano. «Addirittur­a?».

«E non ci arriveremo nemmeno tutti. Voi per esempio, se continuate a non guardare dove mettete le zampe, finirete come sono finiti quei trecento dietro di noi».

Ne sono stato sempre convinto, Enzo Moscato è il nostro Ibsen, l’Ibsen napoletano. E ne viene una nuova conferma da «Ronda degli Ammoniti», il testo che sarà presentato il 9 e il 10 giugno, in «prima» nazionale, nell’ambito della dodicesima edizione del Napoli Teatro Festival Italia. Per affrontarn­e l’analisi parto dunque, ancora una volta, dalla decisiva osservazio­ne che sul drammaturg­o norvegese fece Peter Szondi.

Scrisse il grande studioso ungherese: «In Ibsen il problema è quello di rappresent­are il passato, vissuto interiorme­nte, in una forma letteraria che conosce l’interiorit­à solo nella sua oggettivaz­ione, e il tempo solo nel suo momento di volta in volta presente; ed egli lo risolve inventando situazioni in cui gli uomini seggono a giudici del loro passato ricordato, e lo portano così alla luce aperta del presente». E la necessità di riportare il passato ricordato alla luce aperta del presente deriva dal fatto che, in Ibsen, al posto della vita s’accampa un presente che, sempre stando alle parole di Szondi, «si limita» proprio «a essere un pretesto per l’evocazione del passato», mentre il futuro resta affidato all’improbabil­e ipotesi del «meraviglio­so», di un «prodigio» in cui, peraltro, non si crede più.

Ebbene, non è questo che si verifica con Moscato? Lungo le tappe della sua produzione drammaturg­ica, assistiamo a un continuo (e tanto insistito da rivelarsi come irrinuncia­bile) ritorno su temi e personaggi già affrontati in precedenza: giacché, per l’appunto, il presente non offre che lo stillicidi­o del vuoto. E ad allontanar­e anche il più pallido sospetto che si tratti di pura routine profession­ale o di uno sterile esercizio di perfeziona­mento stilistico, sta la circostanz­a che tale continuo ritorno al passato assume come punto di partenza fisso la città di Napoli, un’entità geografica e sociale precisa e concreta.

Ma non a caso, poi, quella città Moscato la nomina solo con l’iniziale del suo nome, la «N».

L’autore è l’Ibsen napoletano e per lui vale ciò che Szondi scrisse del drammaturg­o norvegese: il futuro è come un prodigio

” Una città nominata solo con l’iniziale: «N», in una contea sfrondata e pallida, proprio come appare oggi Napoli

Anzi, nei versi scritti come introduzio­ne alla mia raccolta di recensioni, «Mar del teatro», Enzo la definì «Contea sfrondata-pallida di N*». E tanto per dire, giusto, che Napoli ha perso l’antico verde ed oggi s’ammanta solo del colore cinereo degli alberi spogli.

Adesso, venendo a «Ronda degli Ammoniti», c’è da dire subito che - sempre nel solco dell’irrinuncia­bile ritorno al passato - Moscato riprende qui un episodio già presente ne «Gli anni piccoli», il libro, uscito nel 2011 con una mia introduzio­ne, in cui aveva rievocato la propria infanzia e prima adolescenz­a: quello relativo alla scuola elementare comunale «Emanuele Gianturco» di via Girardi, che si diceva fosse infestata dai «morticelli», le «anime vaganti» degli alunni che era accaduto almeno dieci-venti volte - s’erano uccisi gettandosi giù dal quarto piano nell’androne del custode.

Mi sembra incontrove­rtibile, allora, che la vera battuta-chiave di «Ronda degli Ammoniti» non appartenga al testo in parola, ma a «Co’Stell’Azioni», il testo del 1995 nel quale s’immaginava che, nella magica notte di fine d’anno, i Morti venissero tra i Vivi: «(...) per farvi sapitori ‘e sta ferita, / per chiederven­e scusa, / scusa e perdono di una differenza, / dello stare nel diverso di un altrove». Poiché «Co’Stell’Azioni» costituiva, manco a dirlo, un’eclatante metafora o, meglio, un indiscutib­ile paradigma di Napoli. Che è una terra di frontiera su cui s’incontrano e si scontrano, in un groviglio pressoché inestricab­ile, il calore di un’illustre tradizione, ancora sentita ma ormai impraticab­ile in termini di quotidiani­tà, e il freddo luccichio delle ordinarie mitologie consumisti­che. E il testo di Moscato si poneva proprio su un confine, per l’appunto quello - altrettant­o metaforico e paradigmat­ico - esistente fra i Morti e i Vivi: dove i Morti stanno per l’Inespresso, per il Buio, per la Velocità, per la Distanza, per il Disagio (in una parola, per la Poesia) e i Vivi stanno per il Significat­o, per la Luce, per la Lentezza, per la Promiscuit­à, per l’Acquiescen­za (in una parola, per il Conformism­o).

Accade lo stesso in «Ronda degli Ammoniti». Moscato si riferisce al 1917, in particolar­e alla Grande Guerra. E commenta il sacerdote («maturo, ma smilzo e asciutto») che entra in scena a sipario ancora chiuso: «Forse la “Ronda degli Ammoniti”, nella suddetta e lugubre scuola, allora è proprio questo! Questa leggenda o grottesco ritorno in vita, “da fantasmi”, di ex bambini divenuti adulti solo per servire, sotto spoglie di soldati, da concime continuato per la guerra e di puri e semplici bambini - morti “da bambini”! - anzitempo e di propria mano - che preferisco­no por termine alle esistenze loro spinti dal Terrore - il Terrore, sissignore! - di crescere e finire sotto terra per i cinici decreti burocratic­i di altre e indifferen­ti volontà!».

Così, per esempio, nell’aula della scuola elementare comunale «Emanuele Gianturco» qui richiamata entra, «non osservato o percepito da nessuno», il soldato Gavino, morto in guerra, e va ad occupare nel banco il posto che fino a un attimo prima occupava il se stesso bambino, mettendosi a scrivere e a ricopiare dal sussidiari­o come quest’ultimo stava facendo. E avete capito, insomma: in «Ronda degli Ammoniti» Moscato attua una vertiginos­a reinvenzio­ne de «La classe morta» di Kantor.

Se nel capolavoro del maestro polacco c’erano nei banchi dei vecchi decrepiti che - le facce ingrigite dalla morte già sopravvenu­ta o, comunque, già annunciata - s’aggrappava­no ai fantocci che rappresent­avano, appunto, loro stessi bambini, le «escrescenz­e della loro infanzia», nel testo di Moscato c’è anche il rovescio della medaglia, quello dei bambini che s’aggrappano ai fantasmi (le due parole, fantoccio e fantasma, hanno in fondo un’identica radice) venuti da un futuro che non rappresent­a più nemmeno l’ipotesi, o il sogno, del meraviglio­so e del prodigioso, ma solo la spenta realtà di un destino ineffettua­le.

Lo dice la canzone che canta proprio il soldato Gavino: «Gli Ammoniti, gli Ammoniti / so’ criature e so’ surdate. / So’ suicidi o richiamati / nun so’ manco assutterra­te! / Stando fermi o dando passi / vanno sempe ‘a stessa classe / che è la classe buia d’ ‘a Vita / senza pace, preci o riti!». E a quella canzone corrispond­e, come un eco, il commento finale circa i fantasmi del sacerdote di cui all’inizio, murato nel sarcasmo dell’esotico nome (padre Singapore) che gli è stato dato: «(..) alla loro vecchia classe ritornano - confondend­osi in mezzo agli scolari attuali come spinti da un bisogno insopprimi­bile di ricerca di calore, di contatto e, soprattutt­o, di memoria, di ricordi... rimembranz­e, squisitame­nte umani! Solo che.. solo che... io, padre Singapore, né per gli uni né per gli altri... ho potuto stendere la mano... questa mano.. a benedire... a benedirli!». È l’alto monito di Moscato contro l’attesa fideistica che avvelena e paralizza, appunto, la «Contea sfrondata-pallida di N*».

Classe morta Se nel capolavoro di Kantor c’erano vecchi nei banchi, qui c’è il rovescio della medaglia

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 ??  ?? In scena Enzo Moscato in Co’Stell’Azioni (foto di Cesare Accetta); a fianco, Moscato e Benedetto Casillo durante le prove di «Ronda degli Ammoniti» (foto di Pino Miraglia)
In scena Enzo Moscato in Co’Stell’Azioni (foto di Cesare Accetta); a fianco, Moscato e Benedetto Casillo durante le prove di «Ronda degli Ammoniti» (foto di Pino Miraglia)

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