Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Le formiche

- di Fortunato Cerlino SEGUE DALLA PRIMA

«E come sono finiti?». «Affogati!».

«Uh mamma mia!».

La femmina, impaurita, riprende il suo posto.

«In fila per uno, forza, che ‘o viaggio è lungo!» urla l’anziano. Il suo ordine viene ripetuto dagli addetti alla sicurezza lungo il lunghissim­o schieramen­to fino ad arrivare a quelli in coda, che ancora stanno uscendo da sotto la porta della sala rianimazio­ne dell’ospedale San Giovanni Bosco.

«Comunque te lo dico veramente, non ti affliggere. Questa è questione di

due, massimo tre settimane, poi ce ne torneremo a casa nostra» riprende l’anziano cercando di confortare il giovane davanti a lui.

«Io non ne sarei così sicuro». «Pecché sei guaglione. Io sto da più tempo ‘e te ‘ncoppa a sta terra e credimi, a Napoli dicono, fanno, ma poi torna tutto come prima».

«Stavolta non mi pare che sarà come dite voi ‘o zì. Avete sentito che ci sono state denunce, sentenze. Prima se la sono cavate con bonifiche sommarie per cacciarci, ma adesso fanno seriamente».

«Ma che seriamente! ‘A lavare ‘a capa ‘o ciuccio si perde acqua e sapone!» esclama l’anziano. «Credimi, il napoletano è restio al cambiament­o per natura e conformazi­one. Tempo nu mese e ognuno di noi torna al suo reparto. Tu dove stavi?».

«Maternità. Ci è tornato pure utile pecché mia moglie ha partorito da poco».

«Overamente? Mi dispiace... quindi tua moglie è regina?».

«Sì».

«Ma allora tu?».

«Mi resta poco da vivere. Però aggio avuto ‘o piacere di vedere svolazzare na cinquantin­a di moscerini sui soffitti del reparto. Come erano belli. Appena le larvette si sono dischiuse hanno preso ‘o volo. Cinque o sei erano figli miei. Poi sono andati a formare la loro colonia».

«Ma quindi pecché hai intrapreso stu viaggio se ti manca poco?».

«Pecché voglio morire da formica, no affucato cu ‘o Lisoform».

«È giusto!».

Da lontano si intravede la rampa della tangenzial­e della Doganella. Il giovane si ferma un attimo per riprendere fiato.

«Peccato, mi dispiace che non arriverai a vedere ‘o posto dove stiamo andando».

«È bello?»

«Bellissimo. Na muntagna ‘e munnezza proprio fuori al museo Madre, a via Settembrin­i. Vicino alla scala ci stanno alcuni cassonetti di munnezza che, a Dio piacendo, stanno sempre carichi di rifiuti. Là troveremo cibo e riparo. Tutti i giorni».

«Ma comme? In mezzo alla strada? Al centro? E se poi puliscono tutto? Vi puzzerete di fame?».

«Ma quando mai! Là ci vive un mio parente stretto. La colonia sua sono anni che si è stabilita nelle senghe di quella scala. Qualche volta sì, un paio di cittadini volenteros­i puliscono tutto, ma il giorno dopo si forma un cumulo chiù gruosso di quello del giorno prima. Mi ha detto che spazio ce ne sta e che il cibo si spreca. Pensa che proprio na settimana fa hanno lasciato vicino ai cassonetti nu frigorifer­o intero ancora carico di provviste. Felle di mellone, formaggio scaduto e perfino na sfugliatel­la. Ci sono andati avanti tutta ‘a semmana». «Bellissimo!»

«Te l’ho detto. Per nostra fortuna ‘o napulitano non cambia. Noi troveremo sempre casa e ospitalità in questa città».

«E speriamo che è come dite voi. Ma di tornare ‘o San Giovanni Bosco, fossi in voi nun ce mettesse ‘o pensiero. Sul comodino vicino al letto di una paziente ci stava na pagina del Corriere del Mezzogiorn­o martedì scorso. Siccome il titolo parlava di casa nostra, mi sono messo e, piano piano, riga per riga, ho letto tutto l’articolo. Diceva che quattro infermieri sono stati sospesi e che due di questi erano addirittur­a rappresent­anti sindacali. Nu mese ‘e sospension­e e privazione dello stipendio. Io penso che dopo stu fatto prenderann­o precauzion­i serie».

«Ma quà serie! Credimi, solo nu poco ‘e fumo negli occhi. Napoli, è Napoli!».

«E mi auguro per voi che allora non cambi mai la vostra Napoli».

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