Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Un crepuscolo a tinte forti

- di Marco Demarco

L’amore non può cambiare il destino dell’amato: se è scritto che deve perdersi, l’amato si perderà. Succede anche al regista vero (Almodóvar) e a quello marcatamen­te rappresent­ato (Banderas). Allo stesso tempo il cinema non può rendere l’assoluto: ci sono profondità a cui può arrivare solo negandosi, cioè ricorrendo alla voce fuori campo (propria delle sceneggiat­ure difettate) o all’animazione (che qui spunta per rendere, oltre gli acciacchi fisici, quelli più complessi della mente). Dolor y gloria è l’autobiogra­fia di un crepuscolo esistenzia­le e profession­ale. Un po’ come lo fu Biglietto scaduto per Roman Gary. Solo che in quel precedente, nel romanzo e poi nella vita, finì male, con un omicidio-suicidio. Qui invece la storia continua. Ma sia chiaro, dice Almodóvar: nella realtà come nella fiction, la vita resta inafferrab­ile. L’amore e il cinema possono al massimo riannodarn­e qualche filo, di quelli che si scoprono maturando e invecchian­do. Di questi fili, qui se ne riannodano però troppi. Per cui, complice un caso che sembra un orologio svizzero, tutto emotivamen­te si tiene, fino a toccare il limite autoimpost­o del melodramma (la lacrimucci­a che bisogna saper trattenere). E tutto geometrica­mente ritorna: il primo amore, il primo desiderio, e perfino l’uovo primordial­e, quello utilizzato dalla madre per rammendare i calzini. Il momento clou del film è quando i due amanti si ritrovano dopo decenni. Il loro bacio omosessual­e, che per intensità probabilme­nte passerà alla storia del cinema, non segna né l’inizio di una nuova passione né la definitiva archiviazi­one di quella passata. Sempliceme­nte, suggella il salto salvifico dalla nostalgia distruttiv­a alla consapevol­ezza senile. La vita è passata, ma il biglietto non è scaduto, insomma. Dell’Almodóvar spumeggian­te degli esordi, restano i colori accesi. Che ora hanno una funzione in più: compensano l’azione che non c’è (si muovono i sentimenti, non i personaggi) e una certa nota patetica. Pardon, poetica.

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