Corriere del Mezzogiorno (Campania)
«Colate di cemento sulle Torri aragonesi»
I comitati: «Restauro sconcertante, adesso intervenga la magistratura»
NAPOLI Dopo la sentenza del Tar cadono i veli sul restauro delle Torri aragonesi di via Marina. I teloni che coprivano le impalcature non ci sono più e quello che appare è abbastanza sconcertante: grosse colate di cemento a fare da corona ai manufatti di lastroni di piperno fatti erigere nel 1484 da re Ferrante d’Aragona.
Uno scempio? Il riscontro, al momento, può essere soltanto visivo e l’immagine delle colate di calcestruzzo sui bastioni medioevali non è un bel vedere. Come è potuto accadere tutto questo? Chi avrebbe dovuto controllare? «Esiste una Soprintendenza che ha questo compito», denunciano il Comitato Portosalvo e l’associazione Insieme per Napoli, guidata dall’avvocato Gaetano Brancaccio, protagonista del ricorso al Tribunale amministrativo regionale contro Monumentando, il progetto che prevedeva il recupero di 27 siti storici con fondi privati in cambio di spazi pubblicitari da ricavare sugli stessi cantieri aperti. Dopo quattro anni dall’inizio dei (presunti) lavori, intervenne l’Anac di Cantone nel 2017 che si espresse negativamente sul progetto. Il 27 novembre dello stesso anno arrivò la sentenza del Tar che bloccò l’intervento sulle Torri aragonesi di via Marina a causa della «incongruenza» tra i ricavi e la spesa effettuata.
«I cartelloni pubblicitari di via Marina — spiega l’avvocato Brancaccio — fruttarono 240 mila euro al mese (per circa 8 milioni complessivi) a fronte di interventi quantificabili in poche migliaia di euro». Il Tar obbligò il Comune a rimuovere gli sponsor dai teloni. E ora ecco lo scempio. «Hanno costruito dei terrificanti manufatti in cemento — denuncia Antonio Pariante di Portosalvo — sopra le torri snaturando tutta l’originalità dei monumenti, quindi al danno ora segue anche la beffa. Forse è il caso che intervenga la magistratura».
Le Torri aragonesi, bastioni eretti per respingere i possibili pericoli in arrivo dal mare, furono anche l’ultima prigione di Eleonora Pimentel Fonseca prima di essere condotta al patibolo il 20 agosto 1799. In genere, in periodo borbonico, le esecuzioni capitali avvenivano in piazza Mercato da cui la torre dista solo poche centinaia di metri.
Il giorno dell’impiccagione i condannati, molti altri prima e dopo Pimentel, erano condotti lungo le mura del Castello del Carmine, che fu demolito nel 1906 per far posto a via Marina, fino ad arrivare al «vicolo dei sospiri» e da lì entravano a piazza Mercato passando sotto l’arco di Sant’Eligio.