Corriere del Mezzogiorno (Campania)
PERCHÉ BISOGNA VOTARE
Oggi si vota per il Parlamento europeo. Negli ultimi anni, tramontate le ideologie del ‘900, la scelta «se» votare e «chi» votare è difficile per tante ragioni. Se poi sono elezioni europee, la scelta è ancora più complicata, dato il rapporto degli italiani (ma non solo degli italiani) con i loro rappresentanti nel Parlamento europeo. Non perché non ci si sente europei ma perché le istituzioni dell’Ue — per come sono e per come hanno funzionato — appaiono poco accorte a interessi e aspettative dei più di 300 milioni di cittadini del nostro Continente.
Di ciò sono molte le cause e i punti di vista e non è il caso di parlarne adesso. Per fortuna però tutti gli schieramenti (compresi i «sovranisti») dicono di voler restare nell’Ue e riformarne la configurazione istituzionale. Dalla effettiva democrazia del Governo dell’Unione ai poteri dei vari organi alle funzioni degli apparati burocratici.
È allora insensato astenersi dal voto. Ma il timore di un’alta astensione non è infondato, visto che il fenomeno ha segnato persino le ultime elezioni locali, dove si sceglievano amministratori vicini agl’interessi dei cittadini. E si capisce che una forte astensione è un rischio grave per la democrazia ed è preoccupante. C’è stato un tempo nel quale chi non andava a votare, senza giustificato motivo, se lo trovava scritto per cinque anni sul certificato di buona condotta, secondo le norme del 1948 e del 1956, confluite nell’art. 115 t. u. del 1957 (leggi elettorali) e abrogate dal d. lgs. 534 del 1993.
Serve questo ricordo storico? Solo per riflettere sul fatto che, agli albori della nostra democrazia costituzionale, il legislatore, sapendo che questa funziona se i cittadini vi partecipano, mandò un chiaro «messaggio pedagogico». Non è una vera e propria sanzione, bensì una segnalazione per certi versi «infamante»: chi non vota è un «cattivo cittadino» ed è bene che risulti pubblicamente. L’esercizio del voto è infatti un “dovere civico” (art. 48 Cost.).
Giustamente nel 1993 queste norme sono state abrogate: sia per la macchinosa procedura; sia per la considerazione che, in una democrazia matura, non votare è di per sé una scelta politica. E come tale da rispettare. D’accordo, ma il discorso non può finire qui. In primo luogo perché non sempre chi non vota lo fa per scelta politica: c’è chi si astiene per ignoranza e chi per indifferenza. E molti perché il Ministero degli interni non ha mai pensato, nonostante i sofisticati mezzi oggi offerti dalla tecnologia, di consentire il voto a chi, per qualche necessità, è lontano dalla sede di residenza nel giorno delle elezioni. In secondo luogo non può sfuggire la regressione della democrazia (non solo della nostra beninteso), che in questo periodo storico appare tutt’altro che «matura». Problema che, tanto per cambiare, è particolarmente grave nel nostro Mezzogiorno, dove sono eclatanti ignoranza, indifferenza, protesta e malessere sociale. Né si può trascurare, in generale e non solo in Italia, che sicuramente votano gli estremisti, i fondamentalisti e le masse clientelari; mentre solitamente si astengono i moderati, i progressisti, gl’intellettuali e gli stanchi dei tanti politici che non ascoltano i cittadini e anzi dall’astensione ci guadagnano. Di qui lo scetticismo diffuso di chi pensa scioccamente che non c’è speranza ed è inutile votare. Così l’immaturità della democrazia si aggrava e diffonde, al punto da rendere quanto mai attuale il «messaggio pedagogico» del vecchio legislatore che nel 1948 (e fino al 1993), benché a modo suo, ritenne utile alla democrazia stimolare l’adempimento del “dovere civico” di esercitare il «diritto di voto».
D’altronde, a ben vedere, il modo migliore di protestare contro la politica sarebbe quello di andare a votare e annullare la scheda (mai scheda bianca, votabile da qualcun altro nel seggio). Solo così risalta l’esiguità dei voti raccolti dagli eletti, i quali non potranno vantarsi di un’inesistente elezione plebiscitaria. Riviva allora il vecchio slogan: «Votate per chi volete, ma votate»!