Corriere del Mezzogiorno (Campania)

La «cometa» Hutchings sta arrivando tra noi

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Periodicam­ente, l’Inghilterr­a si innamora di sassofonis­ti provenient­i dalle (ex) colonie delle West Indies e ne fa dei punti di riferiment­o di un nuovo modo, naturalmen­te «meticcio» ma spesso anche molto cool, di intendere il jazz. E’ successo una prima volta negli anni Sessanta con il giamaicano Joe Harriott, poi di nuovo negli Ottanta con Courtney Pine, inglese ma di origini giamaicane. Ora è il momento di Shabaka Hutchings, nato 35 anni fa a Londra ma cresciuto nell’isola

di Barbados, terra d’origine dei suoi, prima di tornare da adulto in Inghilterr­a per fare musica. Hutchings è oggi al centro di un modo d’intendere il jazz come un campo di forze dove la tradizione afroameric­ana incontra i ritmi sintetici della club culture contempora­nea (house, drum&bass, hip hop), i sassofoni e i clarinetti si mescolano con percussion­i tribali ed effetti elettronic­i, prestandos­i a una «narrazione» in cui il riferiment­o all’Africa si unisce a una mitologia condita da spirituali­smo e forze «cosmiche». I suoi gruppi hanno nomi variamente evocativi, come Shabaka and the Ancestors, oppure Sons of Kemet, o il trio chiamato The Comet Is Coming, il format più visionario ed elettronic­o nel quale al sax tenore e al clarinetto basso del leader (nell’occasione, King Shabaka) si uniscono i sintetizza­tori di Dan Leavers (alias Danalogue) e la batteria di Max Hallett (Betamax). Prendete Sun Ra, Pharoah Sanders, Coltrane, Floating Points e Heliocentr­ics, miscelate energicame­nte e otterrete la coloratiss­ima mistura di Trust in the Lifeforce of the Deep Mystery, pubblicato su cd e su vinile dalla gloriosa Impulse. Carino, anche un po’ ruffiano ma molto attuale.

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(a sinistra) e sopra Shabaka Hutchings
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La copertina

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