Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Il premio Strega Janeczek: «Al Madre brindo con i lettori»
Un’altra Galassia con indianata, seduta spiritica con Bowie e dj set
Quando l’anno scorso ha vinto il Premio Strega, Helena Janeczek ha preso la bottiglia del liquore beneventano e giù un sorso per la vittoria. «Ho tracannato come da tradizione — racconta — anche se, essendo una signora, qualcuno voleva porgermi un bicchiere». Quell’atto simbolico come inno alla vita e alla letteratura è il perfetto viatico all’incontro ravvicinato che avrà stasera alle 20 con i lettori di Un’altra Galassia.
Nel Cortile delle sculture del Museo Madre, infatti, la scrittrice tedesca di origini polacche naturalizzata italiana, condurrà un’indianata a partire dalla lettura del suo Cibo, precedente alla Ragazza con la Leica che le fruttò il premio degli Amici della domenica, ripubblicato poi da Guanda. Il gioco, un classico da comitiva in gita, rispolverato dagli organizzatori per fini letterari, funziona così: il pubblico ascolterà la scrittrice che all’improvviso interromperà il reading che riprenderà solo a patto che uno spettatore beva un bicchiere di vino o affini.
«Trovo sia bellissimo — dice — recuperare il rapporto con l’oralità dei testi letti in pubblico. E il mio libro capita, come si dice, a fagiuolo. Racconto il cibo in tutte le sue possibili sfumature in un orizzonte anche corporeo. A proposito del bere come inno alla vita ricordo che il brindisi in ebraico è letteralmente “alla vita”. Come dire: alla salute».
Torna in città dopo averla frequentata per i suoi corsi all’Orientale. Chi legge degli autori napoletani? «Non saprei da dove cominciare e certamente dimentico qualcuno: Ortese, Ramondino, Montesano, Parrella, Cilento, Milone, Braucci, i due Rea, più Ermanno però, La Capria e Starnone uno dei massimi, Arpaia e Franchini. Apprezzo Elena Ferrante. È difficile raccontare una città mitologica che rinnova continuamente il suo mito. Devi fare i conti con un immaginario troppo forte. I detrattori di Ferrante hanno detto che procede per stereotipi. Io credo invece, come dice la mia amica e studiosa napoletana Tiziana de Rogatis, che lei prenda spunto dai modelli di una letteratura popolare: mantiene la matrice, ma rende la storia universale».
Il Madre fa sposare l’arte visiva con la letteratura. C’è già stata? «Sì, e ricordo in particolare l’impatto con le opere di Paladino, ma quello più forte è proprio con il museo stesso che incastona il contemporaneo in un contesto antico, peraltro a due passi dall’Archeologico che ci riporta alla durata incredibile del tempo». Il suo Cibo è portatore di conoscenza e memorie. «Con i piatti si trasmette la tradizione in maniera semplicissima: eppure una persona non farà mai la stessa parmigiana. Si ricorda, certo, ma si rinnova il senso di appartenenza a una cultura che muta sempre».