Nerano è molto lontana

Da Mostobuono al Vomero spaghetti con le zucchine poco cremosi. Buona la cernia

Come una rondine non fa primavera, così un piatto di spaghetti con le zucchine (1) non riesce, come pure si dice e si scrive, a trasformare questo informale bistrot del Vomero in una colonia della Marina del Cantone, dove, negli anni Cinquanta, Pupetto Caravita di Sirignano inventò il massimo capolavoro della cucina napoletana del dopoguerra. Nonostante gli sforzi del giovane chef, Mostobuono resta lontano da Nerano. Gli spaghetti succitati non sono male, ma non hanno la cremosità degli omologhi massesi: troppo sottili le rondelle dell’ortaggio migliore che ci sia (per me s’intende e naturalmente quando è colto nella sua stagione non ancora iniziata). Fa difetto anche un’eccessiva sapidità dovuta al formaggio. Nella versione ortodossa di questo piatto andrebbe usato un non meglio precisato mix di formaggi, in ogni caso a tendenza dolce e salata. E il basilico? Quasi inesistente, mentre dovrebbe coprire gli spaghetti. Con un gusto spinto per il paradosso, ripeto sempre

che gli spaghetti alla Nerano si possono preparare senza le zucchine, ma non senza il basilico. Andiamo avanti, anzi torniamo agli antipasti, preceduti da un untuoso fiore di zucchina fritto offerto come appetizer. Nel totano in Romagna (2 perché non in Emilia visto che l’aceto balsamico si produce a Modena e non a Rimini?) il contrasto tra l’acidità e la dolcezza della zucca non si armonizzano. Il cannolo con ricotta e gamberi è un piatto slegato e un po’ greve. Degli spaghetti ho detto. La mescafrancescammare (pasta mista) è davvero un garbuglio di sapori, tra i quali spicca inopportunamente la nocciola. Il baccalà fritto (3) e poi spugnato in una densa salsa alla puttanesca è troppo untuoso e sensoso. Netto riscatto grazie al filetto di cernia, bardato di lardo in modo esemplare: resta umido e fa passare in secondo piano il reiterato impiego delle zucchine. La crème brûlée è diversa da quella che immaginate, ma è proprio ottima.

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