Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Nord e autonomia I 5 Stelle campani temono l’accelerata
Da Paola Nugnes a Luigi Gallo, il sospetto di un’operazione anti meridionale
NAPOLI Il dossier sull’autonomia è pronto, ha tuonato ieri Matteo Salvini, vincitore di queste elezioni. Un duro monito agli alleati dei 5 Stelle, al quale fa seguito una tanto scontata quanto inevitabile presa di posizione dell’ultimo governatore del Nord, il leghista del Piemonte Alberto Cirio, secondo il quale ora la Regione chiederà maggiori margini di autonomia. Andandosi ad aggiungere così alle richieste già presentate da Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna. Nona caso il presidente campano Vincenzo De Luca, nonostante abbia presentato la richiesta di maggiore autonomia già da qualche settimana al ministro Erika Stefani, due giorni fa avvertiva: «Bisogna capire se vogliono fregare il Sud, io combatto perché non sia tolto un euro a sanità, trasporti e scuola».
La partita del regionalismo differenziato potrebbe approdare già la prossima settimana al Consiglio dei ministri. Questo il timing dei leghisti. Che faranno i pentastellati i quali finora hanno provato in tutti i modi a ritardarne il varo? Il quadro dopo la straripante vittoria di Salvini e la secca sconfitta del Movimento è politicamente terremotato. Ben difficilmente potranno fare melina come negli ultimi mesi. Ricordiamo quando il 5 maggio, neppure un mese fa, la ministra per il Sud Barbara Lezzi, derise la collega Stefani, accusandola «di aver solo aggiornato le bozze rispetto a febbraio, ma noi non le abbiamo viste, e non so se abbia recepito le nostre osservazioni». Per non dire della senatrice Paola Nugnes, che il 14 febbraio aveva fatto chiaramente intendere come in seno alle forze che sostengono il governo non ci fosse unanimità sul progetto: «Abbiamo dubbi su questa proposta di autonomia – spiegava la Nugnes — siamo per le autonomie ma secondo il dettato costituzionale, nel quadro previsto dalla legge Calderoli del 2001. L’articolo 5 prevedeva il rafforzamento delle autonomie per favorire i territori svantaggiati, per creare quella uniformità territoriale che l’Italia non ha mai avuto. Invece sta accadendo il contrario, e per giunta c’è la richiesta di trattenere il residuo fiscale, che in qualche caso è stato valutato anche attorno al 90%, che determinerebbe una disparità di trattamento nella possibilità di accedere ai servizi, sulla base della residenza, e questo non collima con l’idea costituzionale di equità». Meno duro, e non sarebbe potuto essere altrimenti, dato il ruolo di vice premier che riveste nell’esecutivo, Luigi Di Maio, il quale, però, il 15 marzo, avvertiva i leghisti: «Il Movimento, in questo governo, sarà il garante della coesione nazionale. Si devono rispettare i referendum che hanno portato avanti i cittadini, ma non a discapito di altre parti d’Italia o dell’unità del Paese». Così Luigi Gallo, presidente commissione della Camera, a febbraio: «Tutta questa fretta e riservatezza nel definire una trasformazione epocale del nostro Paese non ha alcun senso—aveva detto—Il dibattito sulle autonomia differenziata va reso pubblico eva parlamenta rizzato ». E perfino il premier Giuseppe Conte aveva ammesso il 20 marzo scorso che «obiettivamente c’è qualche dubbio applicativo e il maggiore riguarda il ruolo del Parlamento. In quanto è prevista un’intesa del capo del governo con i governatori interessati poi da approvare con legge del Parlamento. Si potrebbe arrivare a un testo concordato con la singola regione, ma col dubbio che il Parlamento lo debba approvare o respingere in blocco non è una prospettiva rispettosa delle prerogative delle Camere».
Se il regionalismo differenziato passasse così come chiede la Stefani, il Sud ne uscirebbe politicamente lacerato. Prima di discutere di autonomia differenziata, bisognerebbe identificare i livelli essenziali delle prestazioni. Poi definire standard adeguati di spesa pubblica, oggi sperequata a sfavore del Mezzogiorno, che pregiudica ogni equità nell’accesso ai diritti di cittadinanza e la capacità di riequilibrio territoriale. Come opportunamente avverte l’Ufficio Parlamentare per il Bilancio, i possibili rischi di un regionalismo a geometrie variabili approvato in fretta e furia sono soprattutto due, entrambi deleteri per il Sistema Paese e in particolare per il Sud: la sostenibilità dei conti pubblici e il venir meno della solidarietà interregionale.