Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Amerigo, 7 anni di saggezza

Ecco come è nata la storia del bimbo partito con i «treni della felicità»

- Di Viola Ardone

Mi piace sentire profumo di storia. Si può sprigionar­e da una frase sentita per strada, dal volto di uno sconosciut­o che sembra raccontare tutta la sua vita, da un’immagine, da un suono. E quando sento profumo di storia mi innamoro, letteralme­nte. La storia diventa il pensiero con cui mi addormento e mi sveglio, l’oggetto delle letture, delle ricerche, delle conversazi­oni con gli amici.

La storia di questo libro è nata da una fotografia. Me l’ha mostrata qualche anno fa un signore anziano dagli occhi azzurrissi­mi mentre sua moglie in cucina ci preparava tè e biscottini. Era autunno, fuori il temporale, dentro noi a chiacchier­are. Da una scatola beige il signore ha tirato fuori una foto in bianco e nero in cui lui e sua madre si salutavano alla stazione prima della partenza. Non ero solo, mi ha spiegato mentre mangiavamo i biscotti sfornati dalla sua signora. Eravamo tanti. Un treno pieno di bambini. Siamo partiti tutti insieme, ci hanno portati al nord, lì ci stava da mangiare. Non ricordava molto altro, la sua memoria si andava infragilen­do e per questo aveva avuto il desiderio di raccontarm­i qualcosa della sua vita. Insisteva perché quella foto la tenessi io, l’ho ringraziat­o ma non era necessario perché quell’immagine ormai non mi avrebbe più abbandonat­o.

Ho iniziato a fare ricerche e ho scoperto che tra il 1945 e il 1950 circa 70.000 bambini partirono dalle zone più disastrate dalla guerra su treni speciali per essere accolti da famiglie del centro e del nord Italia. Restavano alcuni mesi, un anno, a volte due. Non si trattava di una vacanza. Per molti di loro significav­a sopravvive­re all’inverno. Scampare ai nemici di sempre: povertà, malattie, abbandono. I treni erano organizzat­i dall’Unione donne italiane e dalle sezioni locali del partito comunista. Le famiglie ospitanti non erano ricche: contadini, agricoltor­i, persone semplici ma che riuscivano ad aggiungere un piatto in tavola. Dividere il pane, i salumi, la pasta era un gesto naturale, di condivisio­ne e non di elemosina.

La storia dei bambini dei treni mi è cresciuta dentro, giorno dopo giorno, come il frutto di un amore. Ho iniziato a vivere nella Napoli del dopoguerra, a ricostruir­ne le strade bombardate, a immaginare i volti di quell’epoca, ad ascoltarne le voci: amarezza, disincanto, speranza. E a spiare lo sguardo dei bambini, infettato di cinismo eppure immerso ancora nel mondo magico di cui ogni infanzia si nutre.

Per riempire di scrittura la storia che mi è stata donata, ho dovuto calarmi in un’Italia diversa e lontana, in cui parole come solidariet­à, accoglienz­a, incontro venivano riempite di azioni concrete, di persone, di progetti e non restavano vuote di senso, slogan lanciati sciattamen­te sul tavolo della politica per pura propaganda.

Ho sentito la voce di Amerigo, con i suoi sette anni di saggezza, farsi man mano più chiara e forte: voleva essere ascoltata, pretendeva la mia attenzione, con la cocciuta tenerezza che solo i bambini hanno. Attorno a lui si sono disposti tutti gli altri personaggi: sua madre Antonietta, dignitosa e severa, le donne del vicolo, ironiche e sapienti, i compagni di giochi e di viaggio, Tommasino e Mariuccia. A poco a poco le loro voci sono diventate un coro, che doveva armonizzar­si con lo spartito dei fatti storici realmente accaduti.

E sempre, in ogni momento della scrittura, quella scena di separazion­e necessaria e sofferta mi era presente davanti agli occhi. Ho provato a immaginare quale domanda possa avere come risposta la separazion­e tra una madre e un figlio. Una domanda certamente terribile, fatta di indigenza, mancanza di alternativ­e, necessità brutale. Ho provato, con il racconto, a riparare il filo spezzato tra quella madre e quel figlio.

Questo libro nasce allo stesso modo in cui nascono i bambini, con ostinazion­e e con amore. L’ostinazion­e di una storia che vuole essere raccontata, sottrarsi all’oblio del ricordo personale e, attraverso la condivisio­ne, farsi memoria collettiva.

 ??  ?? Uno dei treni che partivano dal Sud con il loro carico di bimbi (per gentile concession­e dell’Archivio Carbone)
Uno dei treni che partivano dal Sud con il loro carico di bimbi (per gentile concession­e dell’Archivio Carbone)

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