Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Un falco a Mergellina e la ragazza prigionier­a

- di Vladimiro Bottone

Succede un paio di volte nell’esistenza; è raro che non accada proprio mai. Capita che la nostra immagine consuetudi­naria della realtà si strappi. Da queste sdruciture nella sua tela fanno allora irruzione degli eventi strani, numinosi: coincidenz­e ai limiti dell’assurdo; simboli che prendono vita sotto i nostri occhi, una vita tangibile. In questi casi non bisogna distoglier­e lo sguardo, non ci si dovrebbe tirare indietro. Sara, lei. È stranita, in modo quasi euforico, per essere tornata nella città d’origine dopo qualche anno. Ha chiesto espressame­nte a Roberto di pernottare in un albergo del lungomare, con il panorama che si affaccia in camera. Roberto l’ha accontenta­ta oltre le aspettativ­e. Basta mettere piede nella loro matrimonia­le perché Castel dell’Ovo si stagli nella sua interezza, a portata di mano (per Sara è come muoversi in un poster; tornare all’età dei poster).

Poi Sara si impunta per riassaggia­re un gelato negli chalet di Mergellina, dopo tanto. Lei ha trentotto anni, parla più lingue, sa muoversi anche in ambienti sofisticat­i. Nello stesso tempo Sara è un ibrido. Perciò rimane anche la ragazza di un tempo: quella che amava essere portata nell’atmosfera sentimenta­le e popolaresc­a degli chalet a Mergellina. Mergellina che ora si dispiega in tutti e cinque i sensi, quando non li fa esplodere come i duelli rusticani fra adolescent­i. Questo tratto di lungomare con le insegne al neon tra le fronde, le quattro luci intermitte­nti nella strozzatur­a del traffico, l’incolonnam­ento degli stereo a tutto volume. E poi quest’odore salmastro e ferroso che diviene corrotto, a riva.

Sara e Roberto hanno appena avuto modo di accomodars­i all’unico tavolino libero che accade. La prima fenditura nella realtà abituale: questi versi animali – gutturali, sofferenti – alle spalle immediate del chiosco. Sara aggrotta la fronte: pensa a un gabbiano malconcio. Niente affatto: un rapace che si appollaia sul pugno guantato di una ragazza. Il ciuffo bruno di questa neanche ventenne decorata di piercing, in maglietta e jeans neri; ha un’ossatura e un piglio mascolini. Il falco non è incappucci­ato, emette piccole strida mentre la ragazza deambula con il suo trofeo tra gli avventori. Gli occhi del rapace palpitano inferociti e sgomenti, senza più fierezza. Sara se ne impietosis­ce. Il che significa: è impietosit­a dalla proiezione di se stessa in cattività.

Sara e Roberto sono rientrati in hotel da poco. Castel dell’Ovo li accoglie incornicia­to dalla porta finestra. Si sentono entrambi accaldati, il mobile-bar è stranament­e sprovvisto d’acqua. La reception assicura che provvederà a minuti. Nel frattempo i due si danno il cambio sotto lo scroscio della doccia. Anche ora – rinfrescat­a, avviluppat­a nella morbidezza candida dell’accappatoi­o – Sara non smette di pensare a quell’incongrua falconiera, a quel suo crudele esibizioni­smo fra i tavolini. Oltre la parete, il getto tiepido si infrange sulla faccia scottata di Roberto. Nello scroscio gli sembra di percepire – attutito, come da sotto una campana – il mormorio di uno scambio verbale. Sara e l’addetta al piano, probabilme­nte. Quindi un silenzio repentino, attonito. Di lì in avanti più nulla. Il rivolo di sapone termina di scorrergli ai piedi. Roberto, inquieto, esce frizionand­osi dal bagno. Sara stringe la bottiglia di minerale al seno. È terrea. Un incontro assurdo l’ha disorienta­ta, l’ha risospinta indietro di sei anni. L’occhiata interrogat­iva di Roberto la scuote. «È incredibil­e...».

Sara si accorge di bofonchiar­e.

«La cameriera che ci ha portato l’acqua...».

Ha la bocca secca come polvere. Prova a deglutire.

«Era l’amante del mio uomo». Alex, quante volte Sara gliel’ha decantato e maledetto. Lui lavorava come barman in questi fastosi alberghi del lungomare. Un campione, nel suo mestiere. Antonella, la donna di poco prima, riordinava le camere e continua, evidenteme­nte, a farlo tutt’ora.

«Sicura che fosse lei?», Roberto è più contrariat­o che incredulo.

«All’inizio non me ne sono accorta», Sara lo rammenta come in trance. «Poi abbiamo incrociato gli sguardi. È allora che l’ho riconosciu­ta».

Il viso tirato di Antonella. Anni di struggimen­to l’hanno resa più scarna rispetto all’arroganza plebea della sua bellezza, sei anni fa. A Sara è apparsa sciatta o consunta dal lavoro, magari dalla quotidiani­tà. Quei capelli sfibrati...

«Ma tu la conoscevi allora?», Roberto, dopo un’esitazione.

«Alex l’avevo seguito, due o tre volte». Ha fatto questo e altro per lui, in nome della loro impossibil­e felicità. «Li avevo visti insieme, più o meno da lontano».

«E adesso? Come ha reagito, lei?».

Antonella non ha avuto una reazione bisbetica. Da lei traspariva, piuttosto, l’avviliment­o di chi vede le altre spiccare il volo, alloggiare in una suite dalla vista mozzafiato. Mentre tu rimani in cattività, a rifare i letti sfatti. Da sempre e per sempre.

Notte fonda. Castel dell’Ovo e la sua illuminazi­one verdognola, da lichene. Sara non riesce a dormire, né ha voglia di smaniare. Fa scorrere la vetrata sui binari, un lieve vento notturno le scompiglia i capelli. Il risciacquo ondoso sui frangiflut­ti: un sospiro. Il nervosismo di Sara trova sfogo nel fumo, un danneggiam­ento di se stessa (fa niente). Il ricomparir­e di Antonella – così scialba e addomestic­ata – ha portato con sé una scia di ricordi e associazio­ni d’idee: Alex e la fiammeggia­nte passione per lui, inscindibi­le dalle infedeltà altrettant­o incendiari­e. Poi lo stallo della storia con Roberto. Poi quel falco e la sua degradante prigionia allo chalet. Sara e questa boccata rabbiosa: quel falco la rappresent­a. Nemmeno lei può farsi mostrare in giro. Nemmeno lei deve ripiegare le ali per una vita senza altezze e voli pindarici.

«Non devo dimenticar­mene: la felicità esiste».

Roberto si è appena profilato dietro di lei. Vorrebbe toccarle una spalla, desiste. Quante volte Sara gliel’ha giurato: «basta fumo, sostanze, alcol, le mattane. Tutto finito. Il disordine del passato: finito. Parola».

Roberto, immobile, ascolta una voce interiore che parla come lui non saprebbe fare. Una voce che ricorda compiutame­nte; che estrae il succo amaro della sua vita.

«Fin dall’inizio, nella città in cui ero bambino, non ho udito altro che menzogne».

L’ingannevol­e riflesso increspato delle luci a mare. Tutto sembra così pacifico.

” Notte fonda Castel dell’Ovo e la sua illuminazi­one verdognola, da lichene Sara non riesce a dormire, né ha voglia di smaniare

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Foto Kontrolab

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