Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Un falco a Mergellina e la ragazza prigioniera
Succede un paio di volte nell’esistenza; è raro che non accada proprio mai. Capita che la nostra immagine consuetudinaria della realtà si strappi. Da queste sdruciture nella sua tela fanno allora irruzione degli eventi strani, numinosi: coincidenze ai limiti dell’assurdo; simboli che prendono vita sotto i nostri occhi, una vita tangibile. In questi casi non bisogna distogliere lo sguardo, non ci si dovrebbe tirare indietro. Sara, lei. È stranita, in modo quasi euforico, per essere tornata nella città d’origine dopo qualche anno. Ha chiesto espressamente a Roberto di pernottare in un albergo del lungomare, con il panorama che si affaccia in camera. Roberto l’ha accontentata oltre le aspettative. Basta mettere piede nella loro matrimoniale perché Castel dell’Ovo si stagli nella sua interezza, a portata di mano (per Sara è come muoversi in un poster; tornare all’età dei poster).
Poi Sara si impunta per riassaggiare un gelato negli chalet di Mergellina, dopo tanto. Lei ha trentotto anni, parla più lingue, sa muoversi anche in ambienti sofisticati. Nello stesso tempo Sara è un ibrido. Perciò rimane anche la ragazza di un tempo: quella che amava essere portata nell’atmosfera sentimentale e popolaresca degli chalet a Mergellina. Mergellina che ora si dispiega in tutti e cinque i sensi, quando non li fa esplodere come i duelli rusticani fra adolescenti. Questo tratto di lungomare con le insegne al neon tra le fronde, le quattro luci intermittenti nella strozzatura del traffico, l’incolonnamento degli stereo a tutto volume. E poi quest’odore salmastro e ferroso che diviene corrotto, a riva.
Sara e Roberto hanno appena avuto modo di accomodarsi all’unico tavolino libero che accade. La prima fenditura nella realtà abituale: questi versi animali – gutturali, sofferenti – alle spalle immediate del chiosco. Sara aggrotta la fronte: pensa a un gabbiano malconcio. Niente affatto: un rapace che si appollaia sul pugno guantato di una ragazza. Il ciuffo bruno di questa neanche ventenne decorata di piercing, in maglietta e jeans neri; ha un’ossatura e un piglio mascolini. Il falco non è incappucciato, emette piccole strida mentre la ragazza deambula con il suo trofeo tra gli avventori. Gli occhi del rapace palpitano inferociti e sgomenti, senza più fierezza. Sara se ne impietosisce. Il che significa: è impietosita dalla proiezione di se stessa in cattività.
Sara e Roberto sono rientrati in hotel da poco. Castel dell’Ovo li accoglie incorniciato dalla porta finestra. Si sentono entrambi accaldati, il mobile-bar è stranamente sprovvisto d’acqua. La reception assicura che provvederà a minuti. Nel frattempo i due si danno il cambio sotto lo scroscio della doccia. Anche ora – rinfrescata, avviluppata nella morbidezza candida dell’accappatoio – Sara non smette di pensare a quell’incongrua falconiera, a quel suo crudele esibizionismo fra i tavolini. Oltre la parete, il getto tiepido si infrange sulla faccia scottata di Roberto. Nello scroscio gli sembra di percepire – attutito, come da sotto una campana – il mormorio di uno scambio verbale. Sara e l’addetta al piano, probabilmente. Quindi un silenzio repentino, attonito. Di lì in avanti più nulla. Il rivolo di sapone termina di scorrergli ai piedi. Roberto, inquieto, esce frizionandosi dal bagno. Sara stringe la bottiglia di minerale al seno. È terrea. Un incontro assurdo l’ha disorientata, l’ha risospinta indietro di sei anni. L’occhiata interrogativa di Roberto la scuote. «È incredibile...».
Sara si accorge di bofonchiare.
«La cameriera che ci ha portato l’acqua...».
Ha la bocca secca come polvere. Prova a deglutire.
«Era l’amante del mio uomo». Alex, quante volte Sara gliel’ha decantato e maledetto. Lui lavorava come barman in questi fastosi alberghi del lungomare. Un campione, nel suo mestiere. Antonella, la donna di poco prima, riordinava le camere e continua, evidentemente, a farlo tutt’ora.
«Sicura che fosse lei?», Roberto è più contrariato che incredulo.
«All’inizio non me ne sono accorta», Sara lo rammenta come in trance. «Poi abbiamo incrociato gli sguardi. È allora che l’ho riconosciuta».
Il viso tirato di Antonella. Anni di struggimento l’hanno resa più scarna rispetto all’arroganza plebea della sua bellezza, sei anni fa. A Sara è apparsa sciatta o consunta dal lavoro, magari dalla quotidianità. Quei capelli sfibrati...
«Ma tu la conoscevi allora?», Roberto, dopo un’esitazione.
«Alex l’avevo seguito, due o tre volte». Ha fatto questo e altro per lui, in nome della loro impossibile felicità. «Li avevo visti insieme, più o meno da lontano».
«E adesso? Come ha reagito, lei?».
Antonella non ha avuto una reazione bisbetica. Da lei traspariva, piuttosto, l’avvilimento di chi vede le altre spiccare il volo, alloggiare in una suite dalla vista mozzafiato. Mentre tu rimani in cattività, a rifare i letti sfatti. Da sempre e per sempre.
Notte fonda. Castel dell’Ovo e la sua illuminazione verdognola, da lichene. Sara non riesce a dormire, né ha voglia di smaniare. Fa scorrere la vetrata sui binari, un lieve vento notturno le scompiglia i capelli. Il risciacquo ondoso sui frangiflutti: un sospiro. Il nervosismo di Sara trova sfogo nel fumo, un danneggiamento di se stessa (fa niente). Il ricomparire di Antonella – così scialba e addomesticata – ha portato con sé una scia di ricordi e associazioni d’idee: Alex e la fiammeggiante passione per lui, inscindibile dalle infedeltà altrettanto incendiarie. Poi lo stallo della storia con Roberto. Poi quel falco e la sua degradante prigionia allo chalet. Sara e questa boccata rabbiosa: quel falco la rappresenta. Nemmeno lei può farsi mostrare in giro. Nemmeno lei deve ripiegare le ali per una vita senza altezze e voli pindarici.
«Non devo dimenticarmene: la felicità esiste».
Roberto si è appena profilato dietro di lei. Vorrebbe toccarle una spalla, desiste. Quante volte Sara gliel’ha giurato: «basta fumo, sostanze, alcol, le mattane. Tutto finito. Il disordine del passato: finito. Parola».
Roberto, immobile, ascolta una voce interiore che parla come lui non saprebbe fare. Una voce che ricorda compiutamente; che estrae il succo amaro della sua vita.
«Fin dall’inizio, nella città in cui ero bambino, non ho udito altro che menzogne».
L’ingannevole riflesso increspato delle luci a mare. Tutto sembra così pacifico.
” Notte fonda Castel dell’Ovo e la sua illuminazione verdognola, da lichene Sara non riesce a dormire, né ha voglia di smaniare