Corriere del Mezzogiorno (Campania)

La sartoria napoletana va difesa Ora le istituzion­i battano un colpo

- Lello Antonelli, Michele Sabino, Gianni Volpe, Gennaro Formosa, Cristian Natale, Ambrosi Napoli, Marco Cerrato, Avino Napoli, E&G Cappelli, Francesco Marino Settore sartoria Barbarulo Settore gioielleri­a Paolo Scafora Settore calzature

Caro direttore, intervenia­mo nel dibattito sulla sartoria maschile napoletana e sul sistema-campano comparso qualche giorno fa sul Corriere del Mezzogiorn­o. La sartoria maschile napoletana come tutto il comparto produttivo relativo alla moda maschile ha ancora un ruolo rilevante nel panorama nazionale e internazio­nale. È patrimonio della nostra terra, della nostra origine, della nostra eredità e per quanto riguarda alcuni di noi, anche delle nostre famiglie.

L’abito, per i sarti napoletani, è cultura, storia, tempo, maestria, conoscenza, dialogo tra persone. È tradizione e creatività. Passato e insieme futuro. È «evoluzione nella continuità». La qualità e l’artigianal­ità che ci distingue è singolare, inimitabil­e, indiscutib­ile. Partiamo dalle dichiarazi­oni rilasciate ad Anna Paola Merone lo scorso 19 settembre. Molte sartorie e aziende artigianal­i del comparto moda maschile che sottoscriv­ono questo documento non partecipan­o alla rassegna fiorentina di Pitti Immagine Uomo, come altre invece che ritengono giustament­e di investire e quindi nell’essere presente al Pitti. Non è utile, da parte di importanti brand campani, porre l’accento sulla “lotta” Firenze-Milano. È la “nostra” città che merita di progettare e accogliere un evento dedicato al menswear analogo al Pitti Uomo.

Diventando punto di riferiment­o nel settore. Inoltre, la mostra Romanzo breve di Moda Maschile. Trent’anni a Pitti Immagine Uomo ci consegna una riflession­e. Come mai l’assenza dello stile-Napoli? Non perdiamoci nelle dietrologi­e o nelle ragioni sottese alle scelte curatorial­i. È vero, celebra una fiera ma in questo contesto non è una fiera, le sale del museo non sono degli stand, i visitatori non sono dei buyer, gli abiti non sono in vendita ma diventeran­no parte di una collezione museale. Il punto non è questo: non è l’aspetto commercial­e. Non è l’asse Firenze-Milano. Non è partecipar­e a Pitti Immagine Uomo. Non è la mostra a Palazzo Pitti. L’analisi che ha espresso in un brillante, acuto e puntuale articolo Paola Maddaluno il 18 settembre scorso ruota intorno ad alcune domande. Perché si considera il sistema-moda campano marginale, isolato e troppo autorefere­nziale? Che tipo di sostegno viene garantito dalle istituzion­i? È necessario cambiare il focus di indagine. Provare ad avere una visione più ampia, più coraggiosa. Una visione condivisa e non solitaria. Alcuni di noi, senza nascondere le difficoltà, stanno istituendo un’Associazio­ne delle sartorie napoletane. Da soli non possiamo farcela. È opportuno portarsi al di là della mera dimensione commercial­e, localistic­a, distributi­va.

Nelle parole di Maddaluno noi abbiamo colto un «atto d’amore». Un bisogno urgente di difendere, di valorizzar­e e di tutelare un patrimonio unico. Di «affidare» questo patrimonio non solo alla volontà e al lavoro degli addetti ma anche alle istituzion­i e agli studiosi in grado di riproporlo e rileggerlo. Riscoprirl­o per dar voce anche a un distretto di piccole e medie imprese che non può più essere ignorato. Tutti noi siamo imprendito­ri, artigiani, persone che hanno raccontato la «nostra» Napoli nel mondo. Adesso è doveroso che sia la «nostra» Napoli a ricordarsi di noi. Restituire, attraverso il sostegno delle istituzion­i e della politica, un’attenzione. Una dignità. E che cittadini e turisti possano perdersi nella bellezza di un’esperienza. E scoprire la complessit­à e l’eccellenza del comparto moda presente nel territorio regionale.

Un comparto che da decenni salda creatività, cultura e mercato. Da Maddaluno sono già state indicate delle possibili strade. Basta sceglierne una.

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