Corriere del Mezzogiorno (Campania)
La sartoria napoletana va difesa Ora le istituzioni battano un colpo
Caro direttore, interveniamo nel dibattito sulla sartoria maschile napoletana e sul sistema-campano comparso qualche giorno fa sul Corriere del Mezzogiorno. La sartoria maschile napoletana come tutto il comparto produttivo relativo alla moda maschile ha ancora un ruolo rilevante nel panorama nazionale e internazionale. È patrimonio della nostra terra, della nostra origine, della nostra eredità e per quanto riguarda alcuni di noi, anche delle nostre famiglie.
L’abito, per i sarti napoletani, è cultura, storia, tempo, maestria, conoscenza, dialogo tra persone. È tradizione e creatività. Passato e insieme futuro. È «evoluzione nella continuità». La qualità e l’artigianalità che ci distingue è singolare, inimitabile, indiscutibile. Partiamo dalle dichiarazioni rilasciate ad Anna Paola Merone lo scorso 19 settembre. Molte sartorie e aziende artigianali del comparto moda maschile che sottoscrivono questo documento non partecipano alla rassegna fiorentina di Pitti Immagine Uomo, come altre invece che ritengono giustamente di investire e quindi nell’essere presente al Pitti. Non è utile, da parte di importanti brand campani, porre l’accento sulla “lotta” Firenze-Milano. È la “nostra” città che merita di progettare e accogliere un evento dedicato al menswear analogo al Pitti Uomo.
Diventando punto di riferimento nel settore. Inoltre, la mostra Romanzo breve di Moda Maschile. Trent’anni a Pitti Immagine Uomo ci consegna una riflessione. Come mai l’assenza dello stile-Napoli? Non perdiamoci nelle dietrologie o nelle ragioni sottese alle scelte curatoriali. È vero, celebra una fiera ma in questo contesto non è una fiera, le sale del museo non sono degli stand, i visitatori non sono dei buyer, gli abiti non sono in vendita ma diventeranno parte di una collezione museale. Il punto non è questo: non è l’aspetto commerciale. Non è l’asse Firenze-Milano. Non è partecipare a Pitti Immagine Uomo. Non è la mostra a Palazzo Pitti. L’analisi che ha espresso in un brillante, acuto e puntuale articolo Paola Maddaluno il 18 settembre scorso ruota intorno ad alcune domande. Perché si considera il sistema-moda campano marginale, isolato e troppo autoreferenziale? Che tipo di sostegno viene garantito dalle istituzioni? È necessario cambiare il focus di indagine. Provare ad avere una visione più ampia, più coraggiosa. Una visione condivisa e non solitaria. Alcuni di noi, senza nascondere le difficoltà, stanno istituendo un’Associazione delle sartorie napoletane. Da soli non possiamo farcela. È opportuno portarsi al di là della mera dimensione commerciale, localistica, distributiva.
Nelle parole di Maddaluno noi abbiamo colto un «atto d’amore». Un bisogno urgente di difendere, di valorizzare e di tutelare un patrimonio unico. Di «affidare» questo patrimonio non solo alla volontà e al lavoro degli addetti ma anche alle istituzioni e agli studiosi in grado di riproporlo e rileggerlo. Riscoprirlo per dar voce anche a un distretto di piccole e medie imprese che non può più essere ignorato. Tutti noi siamo imprenditori, artigiani, persone che hanno raccontato la «nostra» Napoli nel mondo. Adesso è doveroso che sia la «nostra» Napoli a ricordarsi di noi. Restituire, attraverso il sostegno delle istituzioni e della politica, un’attenzione. Una dignità. E che cittadini e turisti possano perdersi nella bellezza di un’esperienza. E scoprire la complessità e l’eccellenza del comparto moda presente nel territorio regionale.
Un comparto che da decenni salda creatività, cultura e mercato. Da Maddaluno sono già state indicate delle possibili strade. Basta sceglierne una.