Corriere del Mezzogiorno (Campania)
UNA CITTÀ TRA IDEALISTI E REALISTI
La complessità sociale, non solo in Italia, è il problema di questa tormentata epoca storica, che spetta ai sociologi spiegare. Ma, senza pretesa di scientificità, gettando lo sguardo d’insieme sulla situazione di Napoli (e in parte del Sud), spicca una distinzione di fondo dei cittadini. Alcuni definibili «idealisti operosi», altri «realisti incoscienti». I primi sono una minoranza: non persone strane (sognatori; vituperati intellettuali; ridicoli radicalchic), ma solo persone di buon senso. Che in più hanno l’ideale del bene comune» e cercano di migliorare la società impegnandosi nel volontariato, nella cultura, nella formazione di giovani e adulti ecc... Faticano a operare in una realtà difficile, ma non vi si arrendono e non fanno «prediche inutili» (Einaudi), pur senza farsi illusioni. Invece i realisti incoscienti si adattano alla realtà e si rifiutano di cambiarla crogiolandosi nel loro «particolare». Sono individualisti che arrivano al punto, per esempio, di curare nel dettaglio le loro case e non badare al decoro degli spazi comuni, preferendo vivere in condomini fatiscenti (magari in palazzi storici). Figuriamoci se pensano al decoro di una città, di un quartiere, di una strada, di un giardino. Idealista operoso è Gennaro Matacena: martedì scorso sul nostro giornale ha parlato delle fioriere davanti palazzo San Giacomo, che non contengono fiori ma rifiuti (come tutte le fioriere: dovunque, non solo lì).
La sua condivisibile denuncia riguarda una piccola cosa, che però coglie un antico problema: l’abbandono mortificante dei luoghi in cui viviamo. Un abbandono divenuto ormai lo stereotipo di Napoli (dell’area metropolitana, della Regione, di tutto il Sud). Gli amministratori locali hanno ben altro cui pensare, tanto da non notare le fioriere-immondezzaio sotto i loro occhi, quando entrano ed escono da San Giacomo. Del resto non si occupano dei grossi problemi della città (servizi essenziali; controllo del territorio ecc.), perché dovrebbero occuparsi di dettagli, benché nei luoghi storico-artistici e di richiamo turistico siano importanti? Gli amministratori dunque appartengono ai realisti incoscienti: c’è poco da fare, la realtà di Napoli è questa e non abbiamo soldi. Quanti si lamentano di disordine urbanistico, sporcizia, erbacce, buche, cartelloni pubblicitari (deturpanti monumenti e palazzi storici) sono idealisti che s’illudono. Poiché è questo lo scontro sotterraneo che tormenta la città, non bisogna stancarsi di denunciare il retroterra del diffuso degrado civile. Del quale certo sono colpevoli i governanti, ma i cittadini non sono da meno. Il concorso di colpa dipende, tra l’altro, da questo processo circolare di responsabilità, ribadito dagli idealisti operosi: a) i cittadini si scelgono i governanti; b) i governanti ansiosi di consenso si fanno trascinare dalle cattive secolari abitudini dei cittadini; c) i cittadini li rieleggono (o eleggono governanti omogenei) e così continuano a fare ciò che vogliono. Il circolo si chiude.
Secondo gl’idealisti operosi, solo rompendo questo circolo vizioso si può tentare d’invertire la rotta – ma forse è tardi – dell’ulteriore progressivo degrado della vita civile. I sintomi: i giovani più colti, meritevoli e intraprendenti, scappano; i burocrati locali sono demotivati e ostruzionisti; le imprese non investono e anzi delocalizzano; cavalcano disoccupazione, lavoro nero e lavoro senza qualità; il turismo diventa straccione o «mordi e fuggi»; aumentano caos urbano e conseguenti conflitti (individuali e sociali) e via di questo passo. A una catastrofica prospettiva del genere i realisti incoscienti rispondono col senso comune (diverso dal buon senso): inutile illudersi, il nostro è un destino! I politici sono quello che sono, incorreggibili e ossessionati dai sondaggi, tanto vale rassegnarsi. Ora è vera la scarsità delle risorse, ma è vero pure che essi sono inadeguati ai compiti di governo e convinti che in situazioni difficili è meglio non toccare equilibri precari, che bene o male fanno andare avanti.
Ma questi realisti sono incoscienti e ci portano nel burrone. Ignorano o fingono d’ignorare che le poche speranze ragionevoli sono realizzabili solo attraverso efficienza dei servizi pubblici e massicce dosi di cultura civile nel tessuto sociale. Va bene la presenza in città di illustri personaggi italiani o stranieri: il nome famoso per la Sovrintendenza del Teatro San Carlo; il manager accreditato per questo o quel Museo; il grande calciatore per la squadra del cuore. Ma tutto questo non basta se una malattia endemica si diffonde nella società a mo’ di metastasi. E gli stessi personaggi si troveranno prima o poi a fare i conti con burocratismi, incompetenze e pressapochismi, disordini delle persone e dei tempi della città. L’inversione di rotta, è chiaro, può venire solo dalla politica se è capace d’interpretare l’interesse generale, quello complessivo del sistema sociale. Il dovere primario d’una classe dirigente politico-amministrativa consapevole delle sue responsabilità è trovare coesione al suo interno, avere una visione condivisa del futuro, esprimere le competenze necessarie a governare o a fare opposizione costruttiva.
Il sogno (proibito?) è avere politici e amministratori desiderosi di scrivere a lettere d’oro negli Annali della Storia d’aver impresso una svolta alla convivenza civile, piuttosto che a costruirsi una carriera politica coprendo l’inciviltà delle persone con incredibili slogan inneggianti al sole, al mare, alla pizza e ai mandolini. Ma qui, per vivere bene, le bellezze naturali sono necessarie ma non sufficienti. Perciò occorre che tutti decidano se stare con gli «idealisti operosi» o con i «realisti incoscienti».