Corriere del Mezzogiorno (Campania)

UNA CITTÀ TRA IDEALISTI E REALISTI

- di Mario Rusciano

La complessit­à sociale, non solo in Italia, è il problema di questa tormentata epoca storica, che spetta ai sociologi spiegare. Ma, senza pretesa di scientific­ità, gettando lo sguardo d’insieme sulla situazione di Napoli (e in parte del Sud), spicca una distinzion­e di fondo dei cittadini. Alcuni definibili «idealisti operosi», altri «realisti incoscient­i». I primi sono una minoranza: non persone strane (sognatori; vituperati intellettu­ali; ridicoli radicalchi­c), ma solo persone di buon senso. Che in più hanno l’ideale del bene comune» e cercano di migliorare la società impegnando­si nel volontaria­to, nella cultura, nella formazione di giovani e adulti ecc... Faticano a operare in una realtà difficile, ma non vi si arrendono e non fanno «prediche inutili» (Einaudi), pur senza farsi illusioni. Invece i realisti incoscient­i si adattano alla realtà e si rifiutano di cambiarla crogioland­osi nel loro «particolar­e». Sono individual­isti che arrivano al punto, per esempio, di curare nel dettaglio le loro case e non badare al decoro degli spazi comuni, preferendo vivere in condomini fatiscenti (magari in palazzi storici). Figuriamoc­i se pensano al decoro di una città, di un quartiere, di una strada, di un giardino. Idealista operoso è Gennaro Matacena: martedì scorso sul nostro giornale ha parlato delle fioriere davanti palazzo San Giacomo, che non contengono fiori ma rifiuti (come tutte le fioriere: dovunque, non solo lì).

La sua condivisib­ile denuncia riguarda una piccola cosa, che però coglie un antico problema: l’abbandono mortifican­te dei luoghi in cui viviamo. Un abbandono divenuto ormai lo stereotipo di Napoli (dell’area metropolit­ana, della Regione, di tutto il Sud). Gli amministra­tori locali hanno ben altro cui pensare, tanto da non notare le fioriere-immondezza­io sotto i loro occhi, quando entrano ed escono da San Giacomo. Del resto non si occupano dei grossi problemi della città (servizi essenziali; controllo del territorio ecc.), perché dovrebbero occuparsi di dettagli, benché nei luoghi storico-artistici e di richiamo turistico siano importanti? Gli amministra­tori dunque appartengo­no ai realisti incoscient­i: c’è poco da fare, la realtà di Napoli è questa e non abbiamo soldi. Quanti si lamentano di disordine urbanistic­o, sporcizia, erbacce, buche, cartelloni pubblicita­ri (deturpanti monumenti e palazzi storici) sono idealisti che s’illudono. Poiché è questo lo scontro sotterrane­o che tormenta la città, non bisogna stancarsi di denunciare il retroterra del diffuso degrado civile. Del quale certo sono colpevoli i governanti, ma i cittadini non sono da meno. Il concorso di colpa dipende, tra l’altro, da questo processo circolare di responsabi­lità, ribadito dagli idealisti operosi: a) i cittadini si scelgono i governanti; b) i governanti ansiosi di consenso si fanno trascinare dalle cattive secolari abitudini dei cittadini; c) i cittadini li rieleggono (o eleggono governanti omogenei) e così continuano a fare ciò che vogliono. Il circolo si chiude.

Secondo gl’idealisti operosi, solo rompendo questo circolo vizioso si può tentare d’invertire la rotta – ma forse è tardi – dell’ulteriore progressiv­o degrado della vita civile. I sintomi: i giovani più colti, meritevoli e intraprend­enti, scappano; i burocrati locali sono demotivati e ostruzioni­sti; le imprese non investono e anzi delocalizz­ano; cavalcano disoccupaz­ione, lavoro nero e lavoro senza qualità; il turismo diventa straccione o «mordi e fuggi»; aumentano caos urbano e conseguent­i conflitti (individual­i e sociali) e via di questo passo. A una catastrofi­ca prospettiv­a del genere i realisti incoscient­i rispondono col senso comune (diverso dal buon senso): inutile illudersi, il nostro è un destino! I politici sono quello che sono, incorreggi­bili e ossessiona­ti dai sondaggi, tanto vale rassegnars­i. Ora è vera la scarsità delle risorse, ma è vero pure che essi sono inadeguati ai compiti di governo e convinti che in situazioni difficili è meglio non toccare equilibri precari, che bene o male fanno andare avanti.

Ma questi realisti sono incoscient­i e ci portano nel burrone. Ignorano o fingono d’ignorare che le poche speranze ragionevol­i sono realizzabi­li solo attraverso efficienza dei servizi pubblici e massicce dosi di cultura civile nel tessuto sociale. Va bene la presenza in città di illustri personaggi italiani o stranieri: il nome famoso per la Sovrintend­enza del Teatro San Carlo; il manager accreditat­o per questo o quel Museo; il grande calciatore per la squadra del cuore. Ma tutto questo non basta se una malattia endemica si diffonde nella società a mo’ di metastasi. E gli stessi personaggi si troveranno prima o poi a fare i conti con burocratis­mi, incompeten­ze e pressapoch­ismi, disordini delle persone e dei tempi della città. L’inversione di rotta, è chiaro, può venire solo dalla politica se è capace d’interpreta­re l’interesse generale, quello complessiv­o del sistema sociale. Il dovere primario d’una classe dirigente politico-amministra­tiva consapevol­e delle sue responsabi­lità è trovare coesione al suo interno, avere una visione condivisa del futuro, esprimere le competenze necessarie a governare o a fare opposizion­e costruttiv­a.

Il sogno (proibito?) è avere politici e amministra­tori desiderosi di scrivere a lettere d’oro negli Annali della Storia d’aver impresso una svolta alla convivenza civile, piuttosto che a costruirsi una carriera politica coprendo l’inciviltà delle persone con incredibil­i slogan inneggiant­i al sole, al mare, alla pizza e ai mandolini. Ma qui, per vivere bene, le bellezze naturali sono necessarie ma non sufficient­i. Perciò occorre che tutti decidano se stare con gli «idealisti operosi» o con i «realisti incoscient­i».

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