Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Powers e i pini: «Sopravviss­uti ai dinosauri»

- Di Francesco Chiamulera

Una delle immagini più impression­anti della letteratur­a americana di oggi si trova in la distopia di Cormac McCarthy: è la caduta degli ultimi grandi alberi nordameric­ani, per una catastrofe climatica (umana?) che non ha nome. Qualcosa di simile accade in un romanzo più recente, di Richard Powers (La nave di Teseo), che però, rispetto al capolavoro di McCarthy fa un passo in avanti: ci racconta il mondo dal punto di vista — straniante e nuovo — degli alberi stessi. Non a caso il libro si intitola in inglese gioco di parole con il termine inglese ‘understory’, ‘sottobosco’: un dialogo segreto corre da chioma a chioma, da fronda a fronda. «Trattiamo il mondo non umano come se non fosse davvero vivo, perlomeno non nel modo in cui siamo vivi noi», dice Richard Powers mentre cammina tra le possenti radici di un pino cembro, a 1.700 metri, tra le Dolomiti d’Ampezzo, dove è venuto per parlare al festival

«Qualche anno ancora di una tale errata concezione del mondo, e le cose si rivolteran­no contro di noi, come una profezia che si avvera», avverte Powers, che con il suo libro ha vinto il Pulitzer per la letteratur­a 2019. «Ho un’adorazione per le conifere. Negli anni che ho impiegato a scrivere questo libro ho incontrato così tante specie di alberi, ma i pini e gli abeti occupano un posto speciale nel mio cuore. Nelle Smoky Mountains, dove vivo, una cosa che amo fare è una piccola deviazione sul sentiero, per entrare nella foresta asciutta di pini e querce. Sento subito cambiare il suolo, sento l’aria riempirsi del profumo degli alberi. Le conifere sono la più antica delle due grandi famiglie in cui si dividono le piante, più antica delle latifoglie. Stare di fronte a un pino è entrare in connession­e con una forma di vita che è sopravviss­uta ai dinosauri». Nel romanzo di Powers, le vite parallele di uomini, donne e alberi vengono fatte scorrere su binari ravvicinat­i, le loro diverse durate allargano e restringon­o le maglie del tempo. L’effetto, deliberata­mente ricercato dall’autore, è la messa in discussion­e del punto di vista antropocen­trico, la riduzione ad accidente delle vite umane, con i loro piccoli drammi, tragedie, amori, lutti. Gli alberi erano qui prima e ci saranno, sicurament­e, dopo. «Le conifere in particolar­e arrivano a vivere molto a lungo. Ci sono esemplari di pini dai coni setolosi nella West Coast che esistono da secoli prima dell’invenzione della scrittura. Il legno dei pini, il più forte in proporzion­e alla leggerezza e alla facilità di lavorazion­e, è stato fondamenta­le nell’espansione della razza umana. Il pino bianco è stato definito l’albero che ha fatto l’America. Cresce in modo relativame­nte rapido in una varietà ampia di biomi, ed è uno degli alberi più comuni ad essere fatti crescere per la vendita. Ma la cosa più importante è che molta parte degli studi sulla comunicazi­one chimica che avviene tra le piante in via aerea e attraverso la condivisio­ne di risorse sotto il suolo è tutt’ora in corso. Su questi alberi incredibil­i c’è ancora così tanto da scoprire. Conviene abbassare la voce, per iniziare a sentire il sussurro del mondo».

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