Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Il Pd e Renzi rischiano grosso contro Salvini

- Di Umberto Ranieri

Le recenti interviste al «Foglio» e al «Corriere» di Matteo Salvini sono apparse nel complesso prive di tradiziona­li forzature e oltranzism­i. Sulla questione più delicata, il rapporto con la Unione europea, non è emerso un antieurope­ismo pregiudizi­ale né si sono colte tracce di «putinismo». Sembra finita «la stagione del Salvini orgiastico e sopra le righe». L’impression­e è che il leader leghista sia orientato ad aprire un’altra fase dopo quella «dell’oppositore stando al governo».

La sinistra, se fosse in grado di farlo, dovrebbe riflettere su questo repentino e singolare evolversi della situazione politica. Due mesi fa Salvini rappresent­ava, così si sosteneva, il pericolo per la democrazia italiana e per l’Europa. In meno di due mesi il centrodest­ra appare unito e in grado di sfidare con possibilit­à di successo la sinistra e i suoi alleati. Cosa è successo? La verità è che ad agosto si sbagliò analisi. Si sostenne che con Salvini si rischiava l’uscita dell’Italia dall’euro e un mutamento dell’asse delle alleanze internazio­nali. Un’analisi superficia­le che impedì la consideraz­ione di novità intervenut­e nella situazione politica e negli orientamen­ti della opinione pubblica.

Il sovranismo di cui Salvini era uno dei principali assertori aveva subito una rotta in Europa il 26 maggio. Gli equilibri politici europeisti a Bruxelles non erano stati travolti. Di Maio e Salvini erano stati costretti a rinunciare ai propositi dissennati a più riprese avanzati dal governo del primo Conte. Il Nord del Paese non avrebbe mai seguito Salvini in una avventura contro l’euro. La vicenda della Brexit aveva fatto intendere ai cittadini il rischio di mettersi sulla strada di un abbandono della moneta unica e della Unione. Di tutto ciò non si discusse né fu possibile una valutazion­e. Prevalse la tesi che eventuali elezioni le avrebbe stravinto il leader leghista. Occorreva impedirlo. Su questo si fondò l’intesa tra Pd e 5Stelle.

Intendiamo­ci, Salvini non andava sottovalut­ato, tutt’altro. Non era tuttavia con una manovra parlamenta­re e trasformis­ta che andava affrontato. Occorreva sfidarlo dinanzi agli elettori, facendo intendere, in un rapporto diretto con i cittadini, la inconsiste­nza delle proposte leghiste e i rischi per il Paese di un governo di destra. Una battaglia di cui il Pd avrebbe dovuto assumere la guida.

Dove era scritto che la si sarebbe persa? Parliamoci chiaro: se la intesa con 5Stelle serviva per ridimensio­nare la Lega e il centro destra ho timore che questi restino obiettivi, per il momento, mancati. In quanto al governo Conte bis, la sensazione è che si ritrovi appeso ad un filo. Di Maio cerca di ritagliars­i il ruolo di «uomo forte»; Conte è costretto a mediazioni multiple e continue in un governo in cui sembra prevalgano calcoli di convenienz­a dell’uno e dell’altro. E domenica si vota in Umbria! Non meno scandalo per la ricerca di intese nelle elezioni regionali tra Pd e 5 Stelle. Si sta insieme al governo perché non provare a fare lo stesso nelle regioni? Sbaglierò ma ho timore che l’accordo tra grillini e Pd non sia accolto favorevolm­ente dagli elettori. Vedremo. In quanto a «Italia Viva», se l’ambizione di Renzi è conquistar­e elettori provenient­i da Forza Italia, i conti non tornano. Lo ha ricordato Giuliano Urbani, intellettu­ale di area liberale, tra i fondatori di Forza Italia: «Renzi ha creato le condizioni perché nascesse il Conte bis, non c’è elettore di centro destra che possa preferire un governo M5S, Leu e Pd a Salvini». Non solo. Un centro destra che assumesse caratteri costruttiv­i e di governo renderebbe oltremodo improbabil­e il passaggio di elettori moderati e liberali verso il partito di Renzi.

In realtà, più che la scissione c’era bisogno di ingaggiare una battaglia nel Pd per evitare che perdesse il carattere di partito popolare e riformista, di battersi per una riforma elettorale fondata sul doppio turno, di sfidare la destra e la Lega in campo aperto. C’erano energie riformiste nel Pd disponibil­i a farlo. Renzi ha scelto una strada diversa. Temo non lo porti lontano.

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