Corriere del Mezzogiorno (Campania)
I pini «giustiziati» a Soccavo La strage impunita del verde
Abbattuti in fretta per paura che cadessero E nel cimitero monumentale di Pompei sradicati cipressi e cedri del Libano centenari
Ci stiamo facendo il
NAPOLI callo, sicché protestiamo sempre meno. E invece l’incuria con cui è gestito il nostro verde pubblico rappresenta uno scandalo che dovrebbe richiedere una mobilitazione permanente. Sull’argomento ci sarebbe da scrivere all’infinito, ma adesso io mi limiterò a parlare di quella che forse, di questa incuria, è la conseguenza più drammatica. E cioè del destino che spesso tocca agli alberi. Perché la bordura di fiori di un’aiuola, quando appassisce per mancanza d’acqua (il che da noi accade quasi sempre), può comunque esser sostituita in poche ore, un prato che si è disseccato per lo stesso motivo, può, se finalmente innaffiato, tornar verde in pochi giorni, ma per gli alberi è diverso: quelli che scompaiono non possono venir rimpiazzati in tempo breve, perché gli alberi son creature il cui sviluppo procede adagio e che impiegano decenni e decenni per espandere a pieno la loro chioma.
Ma, a meno che gli uomini non li uccidano per interesse o dissennatezza, compensano i lenti ritmi di crescita con una vita lunghissima, e spesso per secoli offrono al succedersi delle generazioni la propria ombra e la propria bellezza. E allora, al pari degli edifici monumentali dovrebbero costituire il patrimonio storico di un luogo, un tesoro da tutelare in ogni modo. Da noi invece vengono sistematicamente trascurati e ci si ricorda della loro esistenza solo per abbatterli (l’eccidio più eclatante? Quello dei pini di via Tito Lucrezio Caro. Perché, certo, erano malati, ma di un malanno facilmente guaribile la cui cura non era neanche costosa. Tuttavia il comune, malgrado le segnalazioni ricevute, non si è mosso, ha lasciato che la situazione degenerasse ed è intervenuto solo per buttarli giù).
Allora: per quale ragione questa premessa? Per inquadrare nel suo contesto la notizia dei nuovi abbattimenti, probabilmente non necessari, denunziati da Luigi De Falco. Ecco: in un parco residenziale di via Livio Andronico a Soccavo son stati giustiziati ben trenta pini ad alto fusto e nel cimitero monumentale di Pompei stanno tagliando tutti i cipressi secolari e anche due cedri del Libano (l’operazione è in corso, potrebbe quindi venir tempestivamente bloccata). A motivare la decisione la caduta di uno di essi, a febbraio, in una giornata di vento violentissimo. Ma il Wwf, alla cui posizione si è associata Italia Nostra, ha inviato un esposto al sindaco di Pompei, chiedendo che, siccome tutti gli altri alberi appaiono in ottime condizioni, e, d’altronde, della loro buona salute è conferma il fatto che abbiano resistito senza danni al tornado dell’inverno scorso, si sospenda la decisione, rinunziando a procedere al taglio. In effetti, a quanto viene riferito, a determinare la condanna, è bastato il «colpo d’occhio» di un agronomo, mentre, obbiettano gli ambientalisti, l’abbattimento non può essere deciso che dopo «l’analisi visiva» di un tecnico abilitato a cui la moderna tecnologia consente di far eventualmente seguire approfondimenti idonei. Dovrebbe pertanto essere attuato solo come «extrema ratio», mentre, a garantire la sicurezza, dovrebbero bastare una potatura ben fatta, in certi casi l’allargamento delle aiuole e, qualora ve ne sia, l’eliminazione del cemento che strozza la base del tronco. Insomma, le battaglie da affrontare sono tante, ma non commettiamo l’errore di ritenere poco rilevante quella che le associazioni ambientaliste hanno intrapreso per salvare dall’esecuzione gli innocenti cipressi di Pompei. Ricordiamoci che la quantità di alberi presenti in un territorio è uno dei parametri più utili a valutarne il livello di sensibilità ambientale ed estetica e, quindi, di «civiltà».