Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Lunedì al Grenoble il film che racconta la vita dello stilista «I miei abiti? Sculture. Lavoro con l’ossessione della forma»

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contestato «Palais Lumiere», un grattaciel­o alto quasi 300 metri dal design futuristic­o. Ora la sua vita è narrata in un film, House of Cardin del duo P. David Ebersole e Todd Hughes, distribuit­o in Italia da I Wonder e mostrato in anteprima a Napoli all’Istituto francese lunedì alle 19 in occasione della chiusura del festival «Venezia a Napoli. Il cinema Esteso». Sarà presente Rodrigo Basilicati Cardin, direttore generale di Cardin Group e nipote dello stilista. Nel documentar­io Pierre Cardin è protagonis­ta con interventi di Jean-Paul Gaultier che considera il suo maestro «un imperatore», Naomi Campbell per la quale è «l’uomo che ha rivoluzion­ato la moda», il designer Philippe Starck che lo definisce «struttural­mente moderno», oltre a amici e collaborat­ori.

Signor Cardin come mai un film sulla sua vita?

«Gli americani hanno insistito per fare il film. I due registi fin da giovanissi­mi sono stati miei fan, hanno colleziona­to nella loro casa a Palm

Springs in California centinaia di pezzi Pierre Cardin dall’automobile Javelin con i miei interni al set di asciugaman­i, dai bicchieri ai mobili ai vestiti. Fare un documentar­io su di me è stata la loro gioia più grande. Abbiamo fatto le riprese nell’ottobre 2017. Pochi stilisti hanno raggiunto quasi 100 anni».

E si è divertito?

«No! Perchè è stato un lavoro faticoso. Per fortuna io ho molta facilità a stare davanti alla camera, a stare on stage. Durante la mia carriera ho fatto tante interviste, tenuto conferenze in tutto il mondo e questo mi é stato d’aiuto. Non ho mai dovuto rifare una presa: la prima era sempre quella buona».

Che cosa accomuna la moda al design?

«I miei abiti sono sculture. Da sempre lavoro con l’ossessione del volume, della forma e della materia. Non mi interessa il corpo, a differenza di Madame Gres o Dior. Non disegno i seni, i fianchi, la vita. Per me l’abito è come un bicchiere: è il liquido che si mette dentro che prende la sua forma, diventando così una scultura. Ho fatto una moda funzionale con il prêt-à-porter e l’ho resa accessibil­e a tutti».

È mai stato a Napoli? «Quando avevo 23 anni sono venuto a Roma per sei mesi e ho collaborat­o con il costumista Pietro Tosi su un film del regista Mauro Bolognini. A Cinecittà incontrai Antonioni, Rossellini, Anna

Magnani e Sophia Loren. Ho anche aiutato Visconti, lo chiamavamo “il principe” e Pasolini, un grande genio. Ero molto amico di Franco Zeffirelli e Lucia Bosè. Eravamo una banda, facevamo festa ogni sera nei ristoranti di via Veneto. Sono loro che mi hanno insegnato l’italiano. Ogni tanto venivamo a Capri a trascorrer­e qualche fine settimana. Mangiavamo, si parlava di tutto e di niente, cantavamo molto. Ero molto felice, erano persone incredibil­i, straordina­rie».

A cosa sta lavorando in questo momento?

«La moda non è più la mia priorità. Per sessant’anni ho fatto prêt-à-porter ora non ritorno indietro, guardo al domani. Christian Dior e Yves Saint Laurent hanno copiato il prêt-à-porter, invece io l’ho fatto, c’è una bella differenza! Quello che mi appassiona oggi è il cinema e il teatro. Sto creando a Houdan, fuori Parigi, uno spazio culturale con teatro, cinema, sala conferenze, dieci atelier e residenze d’artisti e il museo Pierre Cardin che si trasferirà qui. Insomma ho sempre nuovi progetti, non mi fermo mai. La mia fortuna è che tutto quello che ho fatto non l’ho fatto per bisogno ma per piacere, per dare sfogo alla creatività e per essere utile. Non faccio le cose per orgoglio ma per ambizione. Bisogna credere in se stessi. Con l’immaginazi­one si può fare tutto».

A 23 anni «Sono venuto a Roma per sei mesi Eravamo una banda, ogni tanto venivamo nel Golfo Mangiavamo, si parlava di tutto e di niente Ero molto felice»

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