Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Essere napoletani a Londra (tra Maradona e Pino Daniele)
Nella trattoria «Da Maria» ci sono le maglie del Napoli e c’è Pino Daniele ma non si tratta di troppo folklore, sembra di stare in via Sedile di Porto
L’esser napoletano è una cosa strana. Innanzitutto, perché siamo autoreferenziali come nessun altro e qualsiasi cosa o posto o situazione viene processata e valutata e giudicata al pensiero di come quella cosa potrebbe essere a Napoli. E in tutta sincerità, magari non lo diciamo ad alta voce, ma lo pensiamo, tra noi e noi, che a casa sarebbe sicuramente migliore.
Poi, c’è la questione della lingua, che non è lingua ma cultura, antica, sedimentata e quando hai la sfortuna di non essere a Napoli, a volte, è anche divertente, perché sembra un’innocua parentesi, uno l’apre e la chiude e poi tutto ritorna uguale a com’era prima e se sei fuori e incontri un napoletano, be’, per certi versi ti senti in salvo. Salvo dal resto del mondo, salvo all’idea d’aver trovato uno che magari non ti piace, che ti sta pure antipatico ma almeno capisce, davvero, non semplicemente quel che dici, ma come esisti, perché da Heidegger in poi è chiaro che l’esistenza è il linguaggio e il linguaggio non è parte dell’esistenza e quindi non ti devi spiegare, perché quello già sa tutto, è napoletano anche lui.
Non mi piace tutto questo. Anzi, mi piace moltissimo ma mi piacerebbe anche essere libero di diventare o essere chi voglio e invece non è così: vai via, ritorni, vai via di nuovo ma Napoli resta sempre quella cosa che pensi appena sveglio e anche un attimo prima di addormentarti. Un punto fermo in un mondo che traballa. E a me sembra di non saper parlare d’altro. Di Napoli e del mio appartenergli.
Totalmente refrattario ad apportare un qualsiasi cambiamento alla mia dieta, credo di aver censito tutti i ristoranti e pizzerie napoletane che ci sono a Londra, che nell’aspetto sono napoletane, ma sono anche un po’ londinesi. E mi piaceva questa cosa, pensavo, perché mi sembrava di star diventando così pure io, un po’ e un po’ e stavo parlando con Paolo, ch’è Paolo Nelli in realtà, di cui sto leggendo Trattato di economia affettiva (La Nave di Teseo, 2018), e gli dico che l’esser stato qui, a Londra, per due anni e mezzo, non ha fatto altro che rendermi ancora più napoletano. Dopo siamo andati Da Maria, una trattoria, perché è di fianco al Coronet Theater, e in questo teatro Paolo e altre persone, che mi sono sembrate tutte belle e veloci e piene di energie, organizzano il Festival of Italian Literature in London e m’hanno invitato, per parlare di Diego Armando Maradona, in compagnia di Asif Kapadia,
” Il futuro lontano da casa sa essere dolce quando senti che, ovunque, in un modo o nell’altro, con le buone, solo con le buone, potrai essere parte di qualcosa
” Possiamo rendere il mondo un posto migliore soltanto se ci apriamo, tutti, nessuno escluso, al dialogo, pur nella mediazione di lingue e usanze diverse
regista del documentario uscito da non molto.
Però prima della cena è successo che Kapadia non è venuto e al suo posto c’era l’assistente di produzione, Lina Caicedo, che mi ha detto che Maradona, di persona, è l’uomo più timido di questo mondo e poi abbiamo parlato di lui in pubblico e così via e siamo andati a cena, Da Maria, e mi piace da subito il posto, perché non sembra un po’ napoletano e un po’ londinese, ma solo napoletano e ci sono le maglie del Napoli e c’è Pino Daniele che canta, e non è troppo, folklore o cose del genere, perché è come stare a Via Sedile di Porto, esattamente uguale a come queste cose accadono, dove accadono davvero.
Ci sediamo, dunque, e Paolo chiede a Pasquale, il proprietario, quanto tempo trascorre a Napoli, ormai, e Pasquale risponde una settimana all’anno, che Da Maria è a conduzione familiare e se vanno a Napoli devono star chiusi e dice questa cosa con una dolcezza e un garbo e una tristezza, reale, che ho percepito vera, ch’è impossibile da spiegare bene.
«E tu vai in vacanza» dice Paolo e mi indica. «Veniamo noi ad aprire al posto tuo».
«E poi chissà cosa m’facit truà, quann torn» risponde Pasquale e dopo l’ultima portata, quando siamo tutti visibilmente soddisfatti e allegri, Maria esce dalla cucina e ci chiede se abbiamo mangiato come a casa nostra, e non bene o male e basta. E prima d’andare dico a Pasquale che lascio, che torno a Napoli per un po’.
« Ma comm’è, nuj mo’ c’amm cunusciut’» mi ha risposto e tutto questo è stato bello, perché è stato bello sentirsi a casa.
Però è anche vero che questi due giorni di festival, nella loro totalità, sono stati belli, e coinvolgenti e umani, esattamente così come io immagino lo stare a casa, tra le tue mura - e per queste sensazioni e questa esperienza ringrazio Claudia Durastanti, d’avermi inserito o iscritto o scritto in questa storia. Oppure come quando vai a casa di qualcuno che ti piace davvero e puoi lasciarti andare.
Ascoltare così tante persone portare in giro un’idea dell’Italia o semplicemente quel che siamo, nostro malgrado, e per forza di cose rappresentiamo anche, è stato illuminante, perché nulla di tutto questo è partito da un qualche demenziale sentimento patriottico ma proprio dal pensiero, credo, che possiamo rendere il mondo un posto migliore solo se ci apriamo, tutti, nessuno escluso, al dialogo.
Anche se questo dialogo non può essere perfetto, perché mediato e condotto tra svariate lingue diverse. Non importa. Perché quel che conta è parlarsi, non interrompere il dialogo, e trovare una mediazione.
Quello che metto nella mia valigia, quindi, è questa sensazione, provata, credo, per la prima volta nella vita, e che mi ha fatto sentire tanto napoletano quanto italiano ed europeo e cittadino del mondo. Allo stesso tempo tipico, caratteristico eppure universale, coperto, avvolto in più strati, senza dover necessariamente credere che una mia cultura debba escludere l’altra.
È stato un equilibrio strano, interessante, giusto, come dovrebbe sempre essere, a Londra, lontano da casa, da Napoli, e lontano dall’Italia e il futuro sa esser dolce quando senti che, ovunque, in un modo o nell’altro, con le buone, solo con le buone, potrai essere parte di qualcosa.
E in equilibrio, a patto di venire accolto e d’accogliere a tua volta. A patto d’incontrare persone. Perché qualsiasi persona è l’ennesima possibilità di qualcun altro.
Questa cosa l’ho capita nel corso di questo mio tempo trascorso a Londra, grazie, appunto, alle persone che ho conosciuto, i miei amici, le situazioni, ma l’ho capita e sintetizzata la sera del 2 novembre, a cena, e durante il festival, tra persone che non conosco così bene ma che sono certo d’apprezzare tantissimo.
E riguardo Maradona, sì, abbiamo scoperto ch’è un timido. Buon per lui, però sempre with love.