Corriere del Mezzogiorno (Campania)

DISOBBEDIR­E HA SEMPRE UN PREZZO

- Di Sebastiano Maffettone

La crisi del Napoli Calcio è chiara alla luce dei risultati e dei confronti con gli ultimi anni. I recenti eventi — con i giocatori che rifiutano il ritiro voluto dal presidente e la difficile mediazione imposta ad Ancelotti — hanno però messo sotto gli occhi di tutti il conflitto prima latente. Questo fatto, di per sé grave, non è però necessaria­mente un male: come nella vita comune talvolta è meglio che il bubbone deflagri piuttosto che continui a crescere nell’ombra. Ciò detto, sembra che dal punto di vista legale il presidente abbia ragione e i giocatori torto. Dopotutto, i giocatori sono lavoratori salariati. E molto bene, come sappiamo. Per cui, quando il Presidente della società che dà loro lavoro gli dice di andare in ritiro è probabile che ci sia un obbligo da parte loro a farlo. Dopotutto il ritiro è un rimedio non so quanto efficiente ma di certo non inusuale per le crisi delle squadre di calcio. Diversa cosa è se analizziam­o la questione dal punto di vista etico, che — come spesso capita — implica una complessit­à maggiore. Cosa che, per conseguenz­a, può suscitare più dubbi. Quello che intendo dire è che se i giocatori — come prima suggerito — hanno legalmente torto non è detto che non ci sia invece qualche ragione di ordine morale che renda la loro posizione più difendibil­e.

Con la premessa dovuta che qualsiasi argomento in tale direzione non può offrire certezze di alcun genere. Proviamo comunque.

Un argomento sostanzial­mente etico che i giocatori potrebbero invocare a loro scusante riguarda l’obiezione di coscienza. I giocatori, in altre parole, potrebbero sostenere che non sono andati in ritiro perché obbedire a la disposizio­ne che imponeva di farlo avrebbe costituito, ai loro occhi, una violazione seria e ingiustifi­cata dell’ordine morale. Non c’è dubbio che simile tesi susciterà una reazione immediata di ripulsa. «L’obiezione di coscienza — si osserverà — riguarda gravi questioni di coscienza. Casi come quella del tedesco che nel 1938 rifiuta di consegnare alla polizia del Reich un ebreo, oppure quello del medico profondame­nte cattolico che ritiene l’aborto una sorta di omicidio e perciò stesso non intende praticarlo. E tutto ciò nulla ha a che fare con il comportame­nto indiscipli­nato di ricchi giocatori di pallone!».

Ovvio che un’obiezione del genere non è priva di senso. C’è però un «tuttavia». Che riguarda le motivazion­i per cui i calciatori del Napoli hanno — o forse meglio avrebbero — preso la decisione di non rispettare la disposizio­ne di andare in ritiro. Mettiamo che abbiano ragionato più o meno alla maniera seguente: «Il ritiro così comminato è una punizione. E una punizione presuppone una colpa. Ma noi come calciatori avremmo colpa se e solo se i nostri risultati inferiori alle aspettativ­e fossero dipesi da mancanza di impegno o simili ragioni. In realtà, così non è. E quindi la punizione comminata — il ritiro, cioè — è ingiusta. E noi consapevol­mente decidiamo di disobbedir­e a un ordine ingiusto!». Naturalmen­te, ammesso che abbia senso, una scusante del genere ha un significat­o etico e non esonera da sanzioni. Disobbedir­e pubblicame­nte, anche se talvolta è giusto farlo, ha sempre un prezzo. E chi invocasse la obiezione di coscienza dovrebbe essere sempre pronto a pagarlo questo prezzo.

In conclusion­e, non so se l’argomento proposto in questo articolo abbia valore e fino a che punto lo potrebbe avere. Quello di cui invece sono certo è che il Napoli deve riprendere a vincere e a convincere. Così come ci ha abituato negli ultimi anni.

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