Corriere del Mezzogiorno (Campania)
DISOBBEDIRE HA SEMPRE UN PREZZO
La crisi del Napoli Calcio è chiara alla luce dei risultati e dei confronti con gli ultimi anni. I recenti eventi — con i giocatori che rifiutano il ritiro voluto dal presidente e la difficile mediazione imposta ad Ancelotti — hanno però messo sotto gli occhi di tutti il conflitto prima latente. Questo fatto, di per sé grave, non è però necessariamente un male: come nella vita comune talvolta è meglio che il bubbone deflagri piuttosto che continui a crescere nell’ombra. Ciò detto, sembra che dal punto di vista legale il presidente abbia ragione e i giocatori torto. Dopotutto, i giocatori sono lavoratori salariati. E molto bene, come sappiamo. Per cui, quando il Presidente della società che dà loro lavoro gli dice di andare in ritiro è probabile che ci sia un obbligo da parte loro a farlo. Dopotutto il ritiro è un rimedio non so quanto efficiente ma di certo non inusuale per le crisi delle squadre di calcio. Diversa cosa è se analizziamo la questione dal punto di vista etico, che — come spesso capita — implica una complessità maggiore. Cosa che, per conseguenza, può suscitare più dubbi. Quello che intendo dire è che se i giocatori — come prima suggerito — hanno legalmente torto non è detto che non ci sia invece qualche ragione di ordine morale che renda la loro posizione più difendibile.
Con la premessa dovuta che qualsiasi argomento in tale direzione non può offrire certezze di alcun genere. Proviamo comunque.
Un argomento sostanzialmente etico che i giocatori potrebbero invocare a loro scusante riguarda l’obiezione di coscienza. I giocatori, in altre parole, potrebbero sostenere che non sono andati in ritiro perché obbedire a la disposizione che imponeva di farlo avrebbe costituito, ai loro occhi, una violazione seria e ingiustificata dell’ordine morale. Non c’è dubbio che simile tesi susciterà una reazione immediata di ripulsa. «L’obiezione di coscienza — si osserverà — riguarda gravi questioni di coscienza. Casi come quella del tedesco che nel 1938 rifiuta di consegnare alla polizia del Reich un ebreo, oppure quello del medico profondamente cattolico che ritiene l’aborto una sorta di omicidio e perciò stesso non intende praticarlo. E tutto ciò nulla ha a che fare con il comportamento indisciplinato di ricchi giocatori di pallone!».
Ovvio che un’obiezione del genere non è priva di senso. C’è però un «tuttavia». Che riguarda le motivazioni per cui i calciatori del Napoli hanno — o forse meglio avrebbero — preso la decisione di non rispettare la disposizione di andare in ritiro. Mettiamo che abbiano ragionato più o meno alla maniera seguente: «Il ritiro così comminato è una punizione. E una punizione presuppone una colpa. Ma noi come calciatori avremmo colpa se e solo se i nostri risultati inferiori alle aspettative fossero dipesi da mancanza di impegno o simili ragioni. In realtà, così non è. E quindi la punizione comminata — il ritiro, cioè — è ingiusta. E noi consapevolmente decidiamo di disobbedire a un ordine ingiusto!». Naturalmente, ammesso che abbia senso, una scusante del genere ha un significato etico e non esonera da sanzioni. Disobbedire pubblicamente, anche se talvolta è giusto farlo, ha sempre un prezzo. E chi invocasse la obiezione di coscienza dovrebbe essere sempre pronto a pagarlo questo prezzo.
In conclusione, non so se l’argomento proposto in questo articolo abbia valore e fino a che punto lo potrebbe avere. Quello di cui invece sono certo è che il Napoli deve riprendere a vincere e a convincere. Così come ci ha abituato negli ultimi anni.