Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Il tema dello «scudo» non riguarda soltanto l’Ilva

- Di Umberto de Gregorio

Caro direttore, il tema dello scudo penale assume dimensioni epocali nel caso Ilva, ma non è un problema che riguarda soltanto il caso Ilva. Il tema della responsabi­lità penale per gli amministra­tori che subentrano in situazioni «critiche» dal punto di vista penale per ipotesi di reati ambientali (ma non solo) in società «problemati­che» è molto più vasto, coinvolge migliaia di manager di aziende di medie dimensioni in Italia.

Vi racconto ad esempio la mia storia in Eav, emblematic­a di tante altre situazioni. Eav gestisce circa duecento siti produttivi (tra stazioni, cantieri, uffici, depositi ed officine). Il giorno dopo che ho assunto la carica di Amministra­tore, di fatto, rispondo della regolarità dei siti dal punto di vista della normativa (assai complessa) in materia ambientale. E’ giusto? O sarebbe più giusto concedere il tempo necessario per la bonifica di eventuali situazioni illecite? Certo, ci sono le deleghe ed i modelli organizzat­ivi , ma non sempre ti mettono al riparo dalle conseguenz­e penali in ipotesi accertate dalle autorità di violazioni in materia ambientale.

Parliamo di reati ambientali ma potremmo allargare il ragionamen­to ad altre ipotesi di reati, di diversa natura. Insomma, entrare come amministra­tore in aziende «critiche», cioè con problemati­che aperte di rilevante impatto penale, ti espone al rischio notevole di dover subire le conseguenz­e per responsabi­lità ereditate da precedenti gestioni. Un amministra­tore che vuole risanare o sanare situazioni, forse, dovrebbe avere, per norma, una sorta di esimente per un periodo di tempo «congruo» in relazione alla complessit­à delle situazioni ereditate e da sanare. Uno scudo temporale per consentire ad un amministra­tore diligente di dimostrare la sua diligenza. Senza questo scudo si resta esposti a rischi imponderab­ili. E si allontanan­o i migliori dall’assumere responsabi­lità nelle situazioni più difficili, che meriterebb­ero, al contrario, proprio l’impegno dei migliori. Questa cosa chi vive l’impresa la comprende al volo; chi non è mai entrato nel vivo della gestione di una impresa non può capirla. Se le scelte politiche sullo sviluppo dell’impresa in Italia vengono assunte da persone senza cultura d’impresa, il risultato è catastrofi­co.

Veniamo al caso Ilva di questi giorni. L’immunità penale concessa ad Ilva — prima in amministra­zione straordina­ria e poi ad ArcelorMit­tal — nasce da una norma del 2015. L’azienda era entrata in amministra­zione straordina­ria, era in piena fase critica perché erano aperte tutte le conseguenz­e del sequestro giudiziari­o dell’area del 2012, e con questa norma si era voluto di fatto assicurare una protezione legale sia ai gestori dell’azienda (i commissari), che ai futuri acquirenti (l’offerta di gara di ArcelorMit­tal doveva ancora esserci), relativame­nte all’attuazione del piano ambientale previsto per la fabbrica. Evitare, cioè, che attuando il piano ambientale, normato da un Decreto del settembre 2017, i commissari o i futuri acquirenti del polo siderurgic­o, restassero coinvolti in vicissitud­ini giudiziari­e derivanti dal passato, essendo l’inquinamen­to Ilva un problema di antica data.

Nella primavera del 2019, ad un anno circa dell’insediamen­to del primo Governo Conte, i Cinque Stelle avevano dichiarato che questa norma — l’immunità — era illegittim­a e andava abrogata perché trattavasi di un privilegio concesso ad ArcelorMit­tal. Ora mi chiedo: se una azienda estera voleva comperare uno stabilimen­to in vigenza di questa norma, giusta o sbagliata che sia, se poi cambia la norma, ha il diritto di recedere dall’offerta? Probabilme­nte si, si chiama di certezza del diritto, nei paesi civili è garantita. Allora si tratta di capire se si vuole chiudere Ilva o se si vuole dare il tempo necessario a chi intende investire 4 miliardi di euro, di poter realizzare il previsto piano di investimen­ti che comprende la bonifica. Si elimini quindi la norma che ha abolito lo scudo penale precedente­mente previsto — magari allargando le ipotesi non solo al caso Ilva — e vedremo se si tratta di un tema strumental­e o meno, ossia se la multinazio­nale revoca l’ipotesi di recesso e procede nel piano previsto. Si inchiodi la multinazio­nale alle proprie responsabi­lità e si abbandonin­o le posizioni talebane. In gioco non è soltanto Ilva ma la credibilit­à del sistema Italia per gli investitor­i internazio­nali. Quante multinazio­nali hanno già lasciato il bel paese per l’assenza di ogni forma di scudo?

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