Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Quando Nancy si lamentò della «gestione» dei reggenti

- T. B.

«Ciao, vita mia, ti scrivo questi righi per farti capire come stanno le cose realmente e perché mi sono trovata a fare questo». Comincia così la lettera con cui Vincenza Carrese, detta Nancy, racconta al marito Pasquale Sibillo, detenuto a Terni, come vanno le cose nel quartiere. La donna, in particolar­e, si lamenta di come gestiscono le casse del clan i due cugini che lui ha delegato a sostituirl­o nella zona dei Decumani, Giovanni Ingenito e Giovanni Matteo. «La prima cosa è che da quando prendevamo 300 euro io e Bruna adesso ne prendiamo solo 250, anche se i tuoi cugini non solo fanno le loro cose, ma quando vanno a piazza San Gaetano facendo il tuo nome non percepisco niente, nemmeno un euro, ma loro ogni dieci giorni guadagnano 1000 euro e non mi danno nemmeno un fiore per te». Le lamentele riguardano anche lo spaccio della droga: «Fuori dalla loro piazza smaltiscon­o 100 grammi ogni 10 giorni, poi vendono anche l’erba a piazza Bellini e questa è un’altra infamia e nemmeno da lì mi danno soldi». I soldi creano parecchie frizioni non solo all’interno del gruppo criminale, ma anche tra i familiari più stretti di Pasquale «Lino» Sibillo. Il giovane capo, infatti, dal carcere ha dato disposizio­ne che i soldi ricavati dalle estorsioni e dallo spaccio debbano essere messi da parte per i detenuti o usati per pagare gli avvocati; gli affiliati liberi hanno diritto a pochi spiccioli e si lamentano: «Mia moglie a casa non può comprare nemmeno il latte». Non fa eccezione neppure la madre di Pasquale Sibillo, Anna Ingenito: durante un colloquio in carcere chiede spiegazion­i al figlio, ma lui, irritato, la scaccia.

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