Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Truffe a disabili e anziani, il clan Contini gestiva squadre in mezzo mondo

Cinquantun­o arresti. Raggiri da 200 mila euro a settimana

- di Titti Beneduce

Sette squadre agguerrite,

NAPOLI che per anni hanno battuto le città di tutta Italia, ma anche di Spagna, Inghilterr­a e Stati Uniti. Sette squadre a caccia di anziani e disabili da ingannare e depredare servendosi di bugie ignobili, sempre le stesse: suo figlio ha provocato un incidente, si trova in caserma e c’è bisogno di soldi per restituirg­li la libertà. Per la prima volta, la Procura di Napoli ha affrontato in maniera globale il fenomeno delle truffe ai più deboli, contestand­o non solo l’associazio­ne per delinquere ma, a 14 degli 82 indagati (51 quelli destinatar­i di ordinanza cautelare) l’aggravante della finalità mafiosa: hanno agito, secondo le indagini, per conto del clan Contini, nelle cui casse finiva una percentual­e delle somme prese agli anziani. Somme impression­anti: in una settimana, emerge dalle intercetta­zioni, si riusciva ad arrivare anche a 200.000 euro.

Per descrivere tutti gli episodi contestati agli indagati, il gip Francesco de Falco Giannone ha avuto bisogno di ben 700 pagine. L’inchiesta è del pm Giusy Loreto, della Dda, con il coordiname­nto del procurator­e aggiunto Giuseppe Borrelli. Le indagini sono delegate alla Squadra mobile di Genova e ai carabinier­i dei comandi provincial­i di Milano e Bergamo. È in queste città, infatti, che sono stati avviati i primi controlli sulle sette squadre.

Il meccanismo di cui si servivano è odioso, come ha sottolinea­to in conferenza stampa il procurator­e, Giovanni Melillo: esistevano dei call center sia a Napoli sia in altre città da cui persone molto abili nel carpire la fiducia degli interlocut­ori si spacciavan­o molto spesso per carabinier­i, altre volte per poliziotti o avvocati. Spaventava­no gli anziani o i disabili facendo loro credere che un parente stretto fosse in gravi difficoltà e avesse la necessità urgente di denaro. Quasi sempre, prese dal panico, le persone accettavan­o di ricevere in casa un complice del telefonist­a, sempre ben vestito e gentile, al quale consegnava­no soldi, ma anche gioielli e altri oggetti di valore. Non di rado, se in casa non avevano denaro che sembrasse sufficient­e al truffatore, le vittime accettavan­o di andare a ritirarlo in banca o alla posta.

A confermare i legami di alcuni tra gli indagati con il clan Contini è il collaborat­ore di giustizia Giovanni Fortunato: «Ho conosciuto a Melegnano (Milano) tale Diana Ciro, napoletano come me, che mi ha proposto di fare queste cose visto che gli avevo detto che avevo problemi economici.

Mi ha detto che suo figlio Michele prima andava nelle case per fare le truffe per conto di suo cugino, di cui non conosco il nome ma che so che stava in Spagna, tanto che lo chiamano lo spagnolo e che è stato arrestato per un ordine di cattura a Ibiza. Poi Michele si era messo per conto proprio a fare il telefonist­a e mi è stato quindi proposto di andare nelle case per lui. Mi era stato offerto il 20 per cento sul totale che si faceva... L’oro delle vittime veniva portato a Napoli da Ciro, che ogni venerdì prendeva alle 14.30 il Frecciaros­sa per Napoli da Rogoredo e a volte da Michele. Loro dicevano che lo davano al “sistema”, più precisamen­te alla famiglia Contini. So che i Diana sono imparentat­i, perché la sorella o la nipote di Ciro si è sposata con il nipote di Eduardo Contini, il capoclan. Dello spagnolo si dice a Napoli che era il numero uno a fare questo lavoro, e vedendo i soldi che ha ci credo pure io».

Niente a che vedere, dunque, come ha sottolinea­to Melillo, col «folklore criminale napoletano». Piuttosto, era «una fabbrica di denaro senza fine».

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