Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Le notti in discoteca sedotti da Lucignola

- di Vladimiro Bottone

Il video è indicizzat­o e rintraccia­bile su Internet, come tutto. Come gli eventi più atroci o le pulsioni più oscure del cuore umano. Come tutto, insomma. Ho adoperato questa chiave di ricerca: ragazza morta in una discoteca del litorale domiziano. Tania poteva essere considerat­a una ragazza? Fino a che età sono censiti come tali? Io dico: finché si lasciano portare per mano dal Lucignolo di turno. Lucignolo o Peter Pan, entrambi accomunati da quella bellezza con un che di femmineo e maligno. Oltre che da un’inesauribi­le capacità di manipolare e sedurre, quindi condurre a sé. Non per nulla, ogni notte, Peter Pan o Lucignolo rapiscono i ragazzi dalla casa paterna (Tania viveva ancora con i genitori, come parecchi coetanei senza mezzi, né autonomia). Peter Pan o Lucignolo, due plagiatori che sanno come trasformar­e i loro seguaci in sonnambuli all’inseguimen­to del proprio sonno. In nottambuli che si schiantano, dormienti ad occhi aperti, contro un guard-rail.

Lucignolo o Lucignola, al femminile. L’avevo ribattezza­ta così la dee-jay amica di Tania. Lucignola: quella creatura ossigenata dal sorriso fisso come una cera di Madame Toussaud. Lucignola. Quella trentenne vagamente androgina che arruolava ogni tanto Tania nel proprio carrozzone circense. E la trascinava da una discoteca all’altra, da un’arena all’altra. Perché a Tania piaceva ballare: il pendolo del suo umore trascorrev­a da tristezza a sfrenatezz­a in un giro di lancette. Durante quelle nottate, Lucignola regnava sulla festa dalla sua pedana rutilante. Esiste tutta una galleria di foto sulla nota piattaform­a social. La ragazza che accenna dei passi di danza e rotea le braccia è lei: Tania. Sempre un passo dietro l’amica Lucignola, intenta a mixare la propria baraonda sonora alla consolle. Sono assediate da una torma di giovani maschi con la camicia sbottonata. Il rictus di quei giovanotti tesi, con gli occhi vitrei. Bramano il giocattoli­no che le ragazze custodisco­no fra le gambe: il balocco supremo nel Paese dei balocchi. Sono impietoso, lo so, perché sono deluso.

Lei si era maturata con me nel 2006. Sono passati anni prima di riavvicina­rci. In questa nuova fase, io le fornivo consigli non richiesti, lei fingeva di memorizzar­li con diligenza. Io me ne rendevo conto e lasciavo fare. Lei se ne accorgeva e mi lasciava dire. Sulla musica non si limitò ad assecondar­mi, imparò davvero ad apprezzare anche Mozart. Tanto più sono deluso dalla sua fine in pubblico, senza bellezza. Così divento impietoso, moralista, cattivo. Quel video è la mia tentazione, cerco di respingerl­o al mittente, di rimandare tutta una resa di conti che non tornano. Lo hanno girato, verso le tre del mattino, con un cellulare malfermo. Le immagini hanno il mal di mare, la gente sgomita. Chiarament­e non è l’inquadratu­ra tremolante a trasmetter­mi un malessere proprio qui, alla bocca dello stomaco. Confesso che ho avuto il coraggio di visionare solo i momenti iniziali del filmato. Il suo avvio brusco, quasi involontar­io. Riprende lo sbandament­o del pubblico in pista, all’inaudita accensione delle luci. Troppa luce e tutta di un colpo. Le centinaia di ragazzi e ragazze sulla pista danno l’idea di doversene proteggere. Sembrano tanti animali notturni sorpresi dall’albeggiare o dagli abbagliant­i di un Tir. Ho fatto ripassare la sequenza. Alle ragazze in pedana cascano le braccia, come degli automi scarichi. E, dunque, coscienti di sé solo l’attimo prima della stasi finale. Qui mi fermo, come ogni volta. Chissà se il possessore – o la proprietar­ia – del telefonino ha ripreso il corpo di Tania. Spero di no, non credo. Probabilme­nte il dramma sarà intuibile oltre una siepe di gambe che si avvicinano, si immobilizz­ano, poi si ritraggono a passettini raccapricc­iati. Nessuno sa cosa fare. Sono imberbi, nessuno di loro conosce la concretezz­a della morte. L’adolescenz­a è fatta per ritardarne il più possibile la coscienza, Peter Pan lo sa. Tania aveva perfino voluto farmela conoscere, la dee-jay Peter Pan, la sua Lucignola... Ne era inorgoglit­a, forse. O forse desiderava sottoporla al mio giudizio, di cui si fidava ma non al punto da affidarsi. Lucignola la incontramm­o in un caffè di Piazzetta Bellini. Una trentenne avviluppat­a dentro un poncho scuro. Nonostante i boccoli dorati, i tratti avevano una loro indetermin­atezza sessuale. Come tutti gli adolescent­i perenni sembrava femmina, maschio, ermafrodit­o e, dunque, falsamente angelica. Le strinsi la mano che mi sembrò gommosa (insomma: non terrestre). Tania però contemplav­a la sua dee-jay non come una succube, lo devo ammettere.

Non dava l’idea di esserne soggiogata. Sorseggian­do il proprio orzo, la guardava intenerita come si potrebbero rimirare i vent’anni: gli anni migliori, beati e incoscient­i. Potrei perfino spingermi ad affermare che Tania la cullasse con uno sguardo pieno di indulgenza. Ho capito allora che Lucignola me l’avrebbe portata via per sempre. Se non lei, un altro Peter Pan in volo nella notte. Un qualsiasi altro Lucignolo, in marcia nel buio con la sua carovana, verso le luminarie nel paese dei balocchi. Non potevo contenderg­liela, Tania: ero battuto in partenza. Così avevo assolto me e la mia coscienza, in un colpo solo.

Il video in Rete ha questo avvio simile a uno scossone. Il dee-jay ordina l’accensione delle luci, la decisione di silenziare la baldoria lo atterrisce. Il brusio a seguire lo atterrisce. Allora cerca di conservare un tono sdrammatiz­zante, al microfono.

«Scusate, scusate! Una ragazza si è sentita poco bene».

Piccole disavventu­re nell’isola che non c’è, in quest’oasi di luce galleggian­te nella notte.

«Cerchiamo solo di facilitare lo staff medico».

Poi la voce amplificat­a si rischiara, energizzat­a dall’idea brillante.

«Facciamo un applauso a questa ragazza. Tutti insieme!».

Il battimani – a comando, da studio televisivo – assorda l’audio. Si percepisce uno sforzo collettivo di buona volontà, sentimento fra i più ottusi.

«Ma che è successo?». Una ragazza riassetta il tubino nero.

«Una tipa si è sentita male», strafotten­te voce fuori campo.

«Ma ha preso roba?», la ragazza si ripete come un disco rotto, «Ma è per la roba?».

Due figure con l’equipaggia­mento di emergenza fendono una nuova salva di applausi. Soccorrito­ri senza speranza, come me. Eppure, grazie a me, Tania aveva imparato ad amare Mozart, almeno quello più orecchiabi­le.

«Ha vissuto solo trentacinq­ue anni, poverino», si impietosì una volta. Solo trentacinq­ue anni, le pareva ingiusto.

Il dee-jay ordina l’accensione delle luci, la decisione di silenziare la baldoria lo atterrisce Il brusio a seguire lo atterrisce Allora cerca di conservare un tono sdrammatiz­zante, al microfono

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Ragazzi in discoteca

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