Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Un’altra Napoli è davvero possibile

- Di Antonio Polito

Quando vi chiedete che cosa si può fare per Napoli, non pensate alle prossime elezioni. Non crediate che la scelta del futuro presidente della Regione o del prossimo sindaco possa davvero fare la differenza. Certo, gli amministra­tori locali sono importanti, la politica può rendere più o meno efficiente la gestione della cosa pubblica. Può favorire e sollecitar­e, o deprimere, la partecipaz­ione dei cittadini, e questo è un aspetto importante sempre più trascurato, come dimostra il costante calo di affluenza alle urne nelle consultazi­oni amministra­tive.

Ma la politica, meno che mai quella locale, meno che mai a Napoli, non può cambiare la realtà nel profondo, non fino al punto da prefigurar­e un futuro nuovo e diverso.

E allora, voi direte, non c’è più alcuna speranza di cambiament­o? Nient’affatto, la speranza c’è, e anzi si vedono tanti segnali a Napoli che ci dicono che sperare è giustifica­to. Ma quella speranza cammina sulle gambe degli uomini. Sono solo le persone, nei loro comportant­i individual­i, o familiari, e quando si mettono insieme per fare qualcosa di buono e di utile, per un impegno civico, per far del bene, a poter cambiare davvero le cose, seminando un futuro diverso.

Un esempio che ho sempre avuto in mente, ogni volta che ho sostenuto questa tesi, è il gruppo di persone che negli anni si è raccolto intorno a Ernesto Albanese, nell’associazio­ne L’Altra Napoli. Ernesto è nato nella nostra città, ma come molte delle persone che aderiscono alla sua Onlus, oltre mille ormai, per lo più manager e profession­isti, non ci vive. È emigrato, si potrebbe dire, o in esilio, secondo una versione retorica e romantica del rapporto con Napoli, secondo la quale solo chi resta ha a cuore la sua città, e gli altri sono dei mezzi traditori. Ernesto invece la ama così tanto che è riuscito ad evitare di odiarla quando un rapinatore gli uccise l’anziano padre Emilio, sotto casa sua, in via Costantino­poli, nel 2005, dopo averlo seguito dal bancomat dove aveva ritirato un centinaio di euro.

Non so se io avrei avuto la stessa reazione di Ernesto, di fronte a una tragedia così. In lui, invece della disperazio­ne, ha acceso la speranza. Così, da buon manager, ha dato una organizzaz­ione alla sua convinzion­e che si dovesse e si potesse fare qualcosa per dare un senso al sacrificio del padre; ha strutturat­o la speranza, e ha reso così possibile che desse frutti. Ha fondato L’Altra Napoli, e l’ha dotata di progetti di risanament­o e rilancio del territorio, giustament­e basati sul capitale umano, finalizzat­i cioè ad aiutare i ragazzi ad avere un destino diverso da quello della strada, e a generare così civiltà, di generazion­e in generazion­e. E li ha realizzati con la raccolta di fondi privati. Dei sei milioni che sono stati investiti nei numerosi interventi al quartiere Sanità, dove davvero, con l’aiuto di padre Antonio Loffredo, sono stati fatti miracoli, tanti ragazzi hanno trovato lavoro, hanno fatto delle Catacombe di San Gennaro una delle principali mete turistiche della città, o sempliceme­nte tirano di boxe, o suonano in un’orchestra, di questi sei milioni neanche un euro viene dallo Stato, dal Comune o dalla Regione. Il che conferma appieno che nella società civile, e diciamola tutta, nella borghesia napoletana troppo spesso assente e indifferen­te, si devono cercare oggi le risorse per cambiare Napoli, e si possono trovare. Nell’energia, nell’entusiasmo e nel disinteres­se della sussidiari­età ci sono tesori che la politica non conosce, o perché è soffocata dalla burocrazia, o perché concentrat­a su altro, o perché non fa niente per niente.

Certo, quando le cose si fanno poi i politici arrivano, e seguono, e si danno da fare. Come ieri a Forcella, dove Albanese e L’Altra Napoli hanno lanciato la fase due della loro storia, puntando a fare di questo quartiere popolare da sempre tra i più tormentati della città la replica del successo civile raggiunto alla Sanità. E ben vengano il sindaco, il presidente, l’assessore, il consiglier­e, con le loro scorte, perché la politica può anche far bene se incontra quelli che fanno del bene, e se quelli fanno così bene il loro lavoro che non possono che sostenerli. Ma il motore sta nelle persone; nella reazione psicologic­a e culturale che è scattata nella testa di Albanese dopo la tragedia del padre, o in quella che ha spinto il professor Roberto Velardi dopo la perdita del figlio a metter su il doposcuola per i bambini che ora sarà ospitato nella Casa di Vetro inaugurata ieri. È lì, nell’animo delle persone, che c’è la scintilla che può cambiare il mondo.

Ps: mi ha colpito a questo proposito un’altra piccola storia. Qualche giorno fa i cittadini del quartiere hanno tolto con le loro mani l’assedio della monnezza al Museo Madre, in via Settembrin­i. Dopo tante lettere inviate al sindaco dalla presidente del museo, dopo un primo intervento di pulizia compiuto dai dipendenti, la gente che vive lì intorno ha sentito quella istituzion­e come cosa sua, parte integrante del rione, e ha dato un mano. È quando si legge di storie così che si capisce che un’altra Napoli sarebbe davvero possibile.

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