Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Certa «ignavia» locale e le scelte coraggiose del ministro Franceschi­ni

- Di Vincenzo Trione

2 014-2019. Sono stati anni di battaglie. Guelfi contro ghibellini. Corifei della valorizzaz­ione contro corifei della tutela. Sostenitor­i delle ragioni del «privato» contro sostenitor­i delle ragioni del «pubblico». Difensori delle istanze del mercato e del marketing contro difensori dello Stato.E ancora: difensori della filosofia sottesa ai «macromusei» contro difensori del lavoro portato avanti dalle soprintend­enze. Aedi del nuovo che viene contro aedi dello status quo ante.

Questo tempo segnato da conflitti e da contrappos­izioni sembra stia rapidament­e declinando. Il Ministro Dario Franceschi­ni sta compiendo scelte coraggiose e inattese rispetto a quel che aveva fatto nel suo primo mandato alla guida del Mibact. La decisione di investire energie e risorse finanziari­e su archivi e bibliotech­e ne è tra le più significat­ive testimonia­nze.

Nello stesso orizzonte occorre iscrivere la recente vicenda-Palazzo d’Avalos, portata alla luce dal Corriere del Mezzogiorn­o in una campagna giornalist­ica di raro impegno civile.

Il dato più rilevante è che, sollecitat­o proprio dall’inchiesta del Corriere e grazie alla sensibiliz­zazione del Segretario generale del Mibact Salvo Nastasi, Franceschi­ni ha deciso di intervenir­e in prima persona, «salvando» quel giacimento di bellezze e di memorie dall’incuria cui è condannato da tanti anni, ma anche dal rischio di essere trasformat­o in un condominio di lusso o hotel di charme.

Un edificio — è bene ricordarlo — non collocato in una stradina del centro storico, ma nel salotto buono della città. Dov’erano la Regione e il Comune? E le soprintend­enze cittadine? Perché non hanno compiuto gesti concreti per evitare degrado e spoliazion­i? E, infine: quante architettu­re di rilievo, nella nostra città, si trovano nella medesima condizione di Palazzo d’Avalos? Domande destinate a restare senza risposta.

Dunque, è stato evitato quello che Enzo d’Errico su queste colonne ha chiamato un «delitto d’arte». Palazzo D’Avalos è stato protetto dalla sempre incombente «deriva» turistico-residenzia­le. È stata annunciata una campagna per il recupero e per il restauro di arredi e di affreschi. Si sta provando a salvare dall’incuria un prezioso archivio. Insomma, si è difeso un momento centrale della nostra cultura e della nostra identità. Nella speranza che «uno dei gioielli più preziosi del nostro patrimonio storico e artistico torni a splendere» (ancora d’Errico).

Si tratta di passi necessari. Ma, questo, è solo l’inizio. E ora? Che cosa accadrà? Occorrerà avviare subito una riflession­e sul possibile futuro di questa sontuosa architettu­ra. Auspichiam­o la costituzio­ne di un gruppo formato da personalit­à autorevoli: studiosi, imprendito­ri, ma anche funzionari del Ministero che, in pochi mesi, elaborino una proposta concreta ed economicam­ente sostenibil­e di rifunziona­lizzazione del palazzo, ispirandos­i a quanto sperimenta­to in altri contesti (da Parigi a Berlino, a Barcellona).

Qualcuno ha avanzato l’ipotesi di trasformar­lo in un museo. Personalme­nte, mi piacerebbe, invece, che Palazzo d’Avalos conservass­e un volto antico e, all’interno, accogliess­e un laboratori­o di linguaggi contempora­nei (arte, cinema, fotografia, design, moda), in dialogo con saperi come l’informatic­a e a discipline come la tecnologia, in collaboraz­ione con il Madre, con l’Università Federico II e con l’Accademia di Belle Arti.

Il ripensamen­to di Palazzo D’Avalos potrebbe favorire anche una ridefinizi­one radicale della «missione» del Pan, da anni ridotto a una sorta di albergo a ore. Si potrebbe trasformar­e così via dei Mille in una piccola insula della creatività. Ma, per farlo, c’è bisogno di istituzion­i capaci di uscire dal proprio particular­e, in grado di condivider­e un programma comune, coinvolgen­do forze imprendito­riali attente e dinamiche (non solo locali).

L’auspicio è che la querellePa­lazzo d’Avalos possa diventare un modello. Da «importare» nei tanti edifici del centro antico feriti a morte da un drammatico abbandono: in attesa di interventi che ne tutelino la storia e, insieme, li facciano tornare a vivere, aprendoli ad attività culturali, artistiche e artigianal­i. Sarebbe (anche) un modo intelligen­te per offrire nuove opportunit­à di lavoro a tanti giovani.

Ma — ne sono consapevol­e — la mia è un’utopia. Che, per diventare concreta, avrebbe bisogno di una classe politica seria e responsabi­le. I segnali che, ora, arrivano dal Mibact sono positivi. Regione e Comune, al contrario, sono distratti: guardano altrove e sembrano non avere in cima ai propri interessi la cultura e la difesa del patrimonio.

Non vorremmo ritrovarci, tra qualche anno, a considerar­e anche Palazzo D’Avalos come uno dei tanti nostri appuntamen­ti mancati. Un ulteriore capitolo dei «mali culturali» del nostro Paese. Ci auguriamo di essere cattivi profeti.

” Non vorremmo ritrovarci, tra qualche anno, a considerar­e anche l’edificio di via dei Mille come uno dei tanti nostri appuntame nti mancati

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