Corriere del Mezzogiorno (Campania)

TRE MOSSE PER NON RIVIVERE A TARANTO LA TRISTE VICENDA DI BAGNOLI

- di Claudio De Vincenti

Tre mosse in sequenza per arrivare a salvare l’Ilva. Prima di tutto, il Governo deve chiarire in modo inequivoco quale è la sua linea sulla produzione di acciaio a Taranto. La seconda mossa, se come spero la linea fosse quella della continuità produttiva, è la ricostituz­ione immediata di un quadro normativo basato sulla certezza delle regole in termini di immunità per chi rispetta la legge e di prescrizio­ni ambientali. La terza, sulla base di un ristabilit­o quadro di regole certe, riportare Arcelor Mittal (Am) al tavolo del confronto, esigendo il rispetto degli impegni presi e respingend­o condizioni inaccettab­ili.

La prima mossa è condizione necessaria senza la quale non si va da nessuna parte. Al Presidente del Consiglio va dato merito di essere andato di persona venerdì nello stabilimen­to di Taranto a parlare con lavoratori e cittadini: non era facile ed è stato un segnale di per sé importante che va decisament­e apprezzato. Ma quando lui stesso ha dovuto riconoscer­e, con grande onestà, di non avere la soluzione in tasca, si è reso chiaro che allo stato degli atti una linea del Governo non c’è e che si è andati al voto che ha cancellato il cosiddetto scudo penale senza aver chiaro lo scenario drammatico che si sarebbe aperto.

Serve quindi prima di tutto un chiariment­o interno all’Esecutivo, senza il quale manca nei fatti l’interlocut­ore fondamenta­le per costruire qualsiasi soluzione. E dunque sta al Governo chiarire in modo inequivoco e irreversib­ile se il suo obiettivo è la continuità produttiva di Taranto oppure no. Se la risposta fosse la seconda, significhe­rebbe rassegnars­i alla decrescita infelice, lasciando che a Taranto si riproducan­o ingigantit­i il vuoto produttivo e occupazion­ale e il bubbone ambientale che a suo tempo si determinò a Bagnoli, una piaga ancora aperta. E purtroppo con effetti, se possibile, ancora più devastanti, perché il collasso dell’indotto avrebbe conseguenz­e tragiche su tutto il tessuto produttivo dell’area jonica.

Se, come mi auguro, la risposta fosse invece la prima e quindi l’Esecutivo ritrovasse il coraggio, che ha guidato i Governi della passata legislatur­a, di accettare la sfida dello sviluppo di una industria ambientalm­ente sostenibil­e, la mossa successiva sarebbe immediatam­ente conseguent­e: ripristina­re subito la certezza del diritto — reintroduc­endo l’immunità per chi opera rispettand­o l’Aia (autorizzaz­ione integrata ambientale) e generalizz­andola a tutte le imprese che sono impegnate nel risanament­o ambientale di situazioni compromess­e da eredità passate — e ricostruir­e la certezza delle regole, chiudendo rapidament­e la procedura di revisione dell’Aia che dalla primavera scorsa pende irrisolta sulla testa di qualsiasi progetto ambientale, industrial­e e occupazion­ale nello stabilimen­to tarantino.

Certezza del diritto e certezza delle regole sono la precondizi­one indispensa­bile per affrontare in modo serio il passaggio successivo, quello di una strategia industrial­e per il siderurgic­o. Finché quella precondizi­one non viene ristabilit­a è fuori luogo esercitars­i su eventuali interventi di altri soggetti privati o a partecipaz­ione pubblica in sostituzio­ne di Arcelor Mittal: al di là dell’uso strumental­e che Am sta facendo delle incertezze governativ­e, si deve essere consapevol­i che nessun investitor­e può operare nel contesto normativo ondivago e penalizzan­te che dalla primavera scorsa si è determinat­o per l’Ilva.

Una volta ristabilit­e certezza del diritto e certezza delle regole, la terza mossa da fare è richiamare con fermezza Am al confronto con le istituzion­i e con i sindacati circa il futuro industrial­e e occupazion­ale degli stabilimen­ti Ilva. Le condizioni poste dalla società nell’incontro di mercoledì scorso a Palazzo Chigi sono chiarament­e inaccettab­ili, ma una volta sgombrato il campo dall’incertezza normativa la posizione negoziale della società risultereb­be indebolita — perché la richiesta di recesso dal contratto sarebbe nei fatti una opzione assai meno percorribi­le per Am — mentre più forte sarebbe la posizione negoziale del Governo. Si potrebbe allora entrare concretame­nte nel merito di una strategia industrial­e per Taranto e per tutto il Gruppo Ilva e di eventuali forme di supporto per una ripresa piena della direzione di marcia fissata nel Piano ambientale e nel Piano industrial­e che Arcelor Mittal è tenuta a realizzare.

Sono tre mosse che richiedono coraggio politico e respiro ideale: è questo un banco di prova decisivo per l’attuale maggioranz­a. Per il bene di Taranto e dei lavoratori del Gruppo Ilva, c’è da augurarsi che la prova venga superata.

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