Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Zamuner «Sogno di organizzare una factory musicale»
Cantante jazz, classe ’93, sul palco del Diana in un concerto da solista
È il disco più maturo, «Once upon a time», frutto del prestigioso Premio Massimo Urbani, questo quinto album registrato da Emilia Zamuner, cantante jazz classe ’93, attesa domani sera ore 21 al Diana per un concerto-presentazione.«È vero – spiega la giovane musicista napoletana -, anche perché ci sono voluti tre anni per pubblicarlo come riconoscimento del Premio intitolato al sassofonista scomparso 26 anni fa. Ma soprattutto perché raccoglie una serie di celebri standard, come “What a little moon can do”, “Saint Vitus Dance”, “Fotografia” o “Selfportrait in three colours”, che per me ha un sapore particolare». Ce ne vuole parlare? «È la prima volta che qualcuno lo incide cantandolo, me lo aveva segnalato il sassofonista Giulio Martino che insieme a Marco Sannini (che mi ha seguito al Conservatorio) è tra i “responsabili” della mia conversione jazz, all’inizio nata solo come un gioco. Mi fece ascoltare una versione live fatta da Elvis Costello ed eccolo qui in scaletta. Non a caso domani a suonare con me ci saranno proprio Martino e Sannino insieme al trio base con Piero Frassi al piano, Massimo Manzi alla batteria e Massimo Moriconi al contrabasso».
Un repertorio di cavalli di battaglia di Billie Holiday, Horace Silver, Dee Dee Bridgewater e Carlos Jobim. Ha pensato mai di realizzare brani originali magari con maggiori intrecci con le sue radici musicali? «Certo, ho alcuni inediti, ma ci sto lavorando ancora, rientrano in una serie di progetti-sogno che coltivo per il mio futuro». Per esempio quali? «Su tutti quello di organizzare una factory musicale e letteraria permanente, dove creare la possibilità di incontri fra i tanti giovani talenti che abitano la nostra città. Noi napoletani siamo un po’ come gli allievi bravi che non studiano. Aspettiamo sempre che le cose si risolvano da sole. Invece dobbiamo impegnarci un po’ tutti di più perché sul piano della qualità non siamo secondi a nessuno. Un nucleo già c’è ed è quello che si è costruito intorno al festival che dirigo e che si svolge a marzo a Villa Pignatelli». È figlia d’arte, con la mamma, Maria Sbeglia e il papà Umberto, entrambi pianisti di formazione classica. Hanno storto il naso di fronte alla sua svolta jazz? «No, assolutamente. Anche a loro piace il jazz e una volta ho scoperto mio padre a leggere trascrizioni di Keith Jarrett». Infine i maestri per le voci. «Carlo Lomanto con cui ho inciso “Ella & Louis” e Maria Pia De Vito, un vero faro, cantante e napoletana come me».
Giulio Martino insieme a Marco Sannini è tra i responsabili della mia conversione artistica