Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Dal lager alla casa di Soccavo Sul treno con Primo Levi
Pubblicato il diario del soldato Arcopinto che condivise il ritorno a casa con lo scrittore
Viaggiò per giorni e giorni sullo stesso treno su cui penò per quasi sei mesi lo scrittore Primo Levi prima di poter tornare dal lager, vicino Auschwitz, a casa sua. Primo Levi definì quel lungo e sofferto viaggio come «una vera odissea ferroviaria». E ne parlò con dovizia di particolari nel suo libro «La tregua», forse un po’ meno noto rispetto a «Se questo è un uomo».
Le stesse tappe descritte da Levi, gli stessi strani nome delle stazioni, le medesime interminabili soste notturne dormendo a terra nelle stazioni, la stessa ansia per l’assenza completa di informazioni, l’identica preoccupazione dopo una inimmaginabile deviazione, che li costrinse a dirigersi verso Mosca e a fermarvisi per oltre due mesi, sono presenti anche nel diario inedito «Dal lager a casa» scritto dal soldato napoletano (di Soccavo) Michele Arcopinto, per anni conservato in un cassetto dai figli. Levi scese dal treno a Verona il 17 ottobre 1945 (su 650 ebrei partiti da lì ne tornarono solo tre). Arcopinto, dopo aver visto le rovine di Montecassino e fatto l’ultima sosta a Maddaloni, giunse a Napoli la mattina del 21 ottobre.
Il diario, manoscritto, è costituito da 50 fogli di quaderno su cui, al ritorno a casa, furono ricopiati diligentemente gli appunti scritti nel lager su foglietti volanti. In esso il caporal maggiore Michele Arcopinto, nato il 2 agosto 1914 a Soccavo e arruolato nel 26° Reggimento di Artiglieria, ha annotato la sua storia quotidianamente, senza saltare un giorno.
Nel lager polacco, che doveva sorgere nei pressi di Auschwitz, ebbe il duro trattamento riservato ai militari italiani internati, compresi quelli trasformati, con il noto decreto dell’agosto 1944, in lavoratori civili. Terminata l’8 maggio ‘45 la guerra in Polonia e venuto meno il controllo dei tedeschi, il lager dove era detenuto il militare Arcopinto e quelli vicini vennero gestiti dai russi, che mantennero gli ex prigionieri per settimane senza alcuna informazione, senza impegni, liberi solo di riposare e di mangiare due volte al giorno. La prima annotazione, e proprio in tal senso, nel suo diario, è del 15 maggio e si conclude con il solito leit motiv «pure oggi speranza nel domani».
Nei giorni seguenti Arcopinto scrive di essere andato al mercato, ove vende la giubba per comprare tabacco. Nel Campo non si sa cosa fare. Si cucina polenta e patate. Si mangia e canta per scacciare la malinconia. Le giornate sono sempre uguali. L’unico lavoro è cucinare quattro patate con farina rubate ai russi. Ma per una «decina di chili di farina rubata insieme con qualche altra cosa» all’indomani, appena scoperti, scatta però la punizione: «ci hanno portato fuori al campo e là ci hanno fatto stare un’ora fermi senza rientrare» (mercoledì 23 maggio). Col passare dei giorni le razioni di cibo diminuiscono; si dorme a terra; fa freddo e si acuiscono i dolori alla schiena. Così il giovane Arcopinto un giorno non si alza nemmeno e consuma il primo rancio sul letto, un altro va al mercato oppure a lavorare in un magazzino russo «per rimediare qualcosa».
Sabato 9 giugno arriva la conferma di una possibile partenza «tra una settimana». Ma – scrive Arcopinto – «tutto è fermo. Nel pomeriggio andiamo a fare una passeggiata nelle cascine di Cattovic». Proprio quella località è la stessa Katovi citata da Primo
Levi nel suo libro. Arcopinto vi si reca a fare una passeggiata a piedi, Levi racconta di essere stato lì negli stessi giorni e che vi si concentravano ex prigionieri italiani e greci. Finalmente il 27 giugno i russi annunciano che gli italiani ripartiranno attraverso la Crimea. In realtà sia lo scrittore che Arcopinto e gli altri prigionieri arriveranno a Zmerinka per rimanerci fino al 13 luglio. Il viaggio in treno segue itinerari tortuosi, lo stesso Levi lo definirà «un’odissea». A fine luglio Arcopinto è sconfortato: «Sono più di tre mesi che sto in mano ai russi, fino ad oggi non mi hanno detto una verità». Si arriverà così addirittura al 15 settembre data in cui avverrà la vera e propria partenza per l’Italia. Nella notte del 15 Levi annota la ripartenza e il riaccendersi delle speranze a bordo di un treno lungo mezzo chilometro. Le stesse annotazioni arrivano da Arcopinto: «Dormiamo per terra nei vagoni, a ogni fermata facciamo mucchio l’uno sull’altro per scaldarci».
Il 23 settembre si arriva a Bucarest, dove finalmente gli ex prigionieri ricevono aiuti e viveri dalla Croce rossa internazionale. Il 4 ottobre sia Levi che Arcopinto scrivono di aver lasciato Curtici e di essere diretti in Ungheria. Si prosegue verso l’Austria. Poi altri tre giorni tutti fermi a Vienna. Ma ormai l’Italia è vicina. Il 17 ottobre la tradotta si ferma a Pescantina presso Verona. A quel punto Levi e altri lasceranno il convoglio diretti alla loro Torino. Il viaggio-odissea del caporale Arcopinto terminerà solo il 21 ottobre 1945, alle 5,40 il treno giunge nella stazione di Napoli. «È così terminata – annota per l’ultima volta il soldato Arcopinto – la tragedia della lunga e avventurosa mia prigionia».
Le stesse tappe descritte da Levi, gli stessi nomi di paesi, la stessa «odissea»