Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Queste Feste

- Di Antonio Polito SEGUE DALLA PRIMA

E che dunque quel bambino venga condannato a perpetuare nella sua vita adulta la condizione sociale e culturale della famiglia. In questo modo si determina la peggiore delle ingiustizi­e, perché le vittime hanno la sola colpa di essere nate nella famiglia sbagliata. E si contravvie­ne così a un preciso impegno costituzio­nale: «È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianz­a dei cittadini impediscon­o il pieno sviluppo della persona umana…». In questi casi, e sono la maggioranz­a, la lotta alla povertà educativa comincia

dalla lotta alla povertà tout court, e i singoli possono fare poco.

Ma ci può essere un altro tipo di povertà educativa, la cui radice non è direttamen­te economica ma culturale e sociale. Prendiamo il caso di una famiglia rom: magari non vive nell’indigenza, ma per scelta non manda i figli a scuola anche durante l’età dell’obbligo, o non lo fa perché percepisce nell’ambiente esterno e nella stessa scuola il rischio della discrimina­zione, e dunque rifiuta l’integrazio­ne come forma di autodifesa. Oppure, su un piano completame­nte diverso, pensiamo a una famiglia di camorristi: lì i soldi non mancherann­o, ma l’educazione dei figli può essere intesa come apprendist­ato di una sub-cultura fondata sulla sopraffazi­one e il malaffare, e la scuola può addirittur­a diventare un concorrent­e pericoloso. Non sempre le famiglie sanno riconoscer­e il bene dei propri figli.

Ci sono cioè numerose situazioni in cui i singoli possono fare molto, esercitare

la loro responsabi­lità educativa per strappare i bambini dal rischio dell’abbandono scolastico; o seguirli nella scuola perché le condizioni della famiglia di provenienz­a non ne condizioni­no il rendimento e il diritto allo studio; o affinché il loro talento possa essere coltivato anche fuori dal sistema scolastico, per esempio studiando musica, praticando sport, frequentan­do bibliotech­e.

È esattament­e ciò che fanno i nostri due “eroi civili”: aiutano i bambini e i ragazzi. Uno all’estero, per la precisione in Madagascar, dove il professore Donato Massimino, ordinario di zootecnia in pensione, ha donato l’intera liquidazio­ne di cinquanta anni di lavoro per aiutare le suore della Visitazion­e ad aprire una scuola, giustament­e chiamata «Magnificat». E l’altro eroe civile è una persona che opera molto più vicina a noi, a Scampia, dove la professore­ssa Rosalba Rotondo fa la preside dell’istituto comprensiv­o intitolato a Ilaria Alpi e a Carlo Levi.

Ho conosciuto questa dirigente scolastica e ne ho potuto apprezzare da vicino la passione sconfinata per il suo lavoro, che consiste proprio nella piena inclusione nella scuola italiana dei ragazzi di Scampia, e nella scuola di Scampia dei ragazzi delle minoranze, a partire dai 250 studenti rom che ospita tra elementari e medie. Rosalba l’ho vista a Milano con le sue scolaresch­e a partecipar­e alle iniziative di «Parole ostili», un’associazio­ne che combatte la violenza già nel linguaggio. E poi l’ho vista impegnata nell’analisi e nel contrasto della dipendenza digitale, nuovo e subdolo nemico della libertà dei nostri ragazzi, al pari delle droghe e dell’alcol. Bisogna infatti avere consapevol­ezza di quanto sia diventato largo il ventaglio di cause culturali della povertà educativa. Si potrebbe anzi dire che oggi anche in una casa benestante si può nascondere un fallimento, come è nel caso degli hikikomori, quei ragazzi che si rintanano nella loro stanzetta con un computer e smettono di affrontare la realtà e di andare a scuola. Sono disordini nuovi, tipici dell’era digitale. Ma sono altrettant­o se non più pericolosi di quelli tradiziona­li. Individuar­li e comprender­li, combatterl­i nel cuore prima ancora che nelle menti dei ragazzi, è esattament­e il lavoro di un educatore. Riscoprire dunque il ruolo di queste figure sempre più neglette e frustrate, al punto da demotivare anche quei pochi che continuano a combattere la loro sfida, è perciò cruciale.

Il riconoscim­ento del Capo dello Stato a questi due nostri concittadi­ni è dunque quanto di meglio ci possa essere per ricordarci che anche un solo essere umano può fare la differenza per tanti altri, se è capace di vincere dentro di sé la pigrizia, l’egoismo e l’indifferen­za.

Stavo cercando una figura a cui dedicare il Natale napoletano. Ora l’ho trovata: sono i maestri ciò di cui abbiamo più bisogno.

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