Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Quella busta chiusa con un buono d’amore

A 12 anni scopri che Santa Klaus non esiste ma un regale perfetto ti salva dalla delusione

- Di Maurizio de Giovanni

Non vorrete mica negare che c’è qualcosa di perfido, nel Natale. Una mano subdola e traditrice armata di coltello, che si nasconde dietro luci e festoni e palline di vetro e pastori di terracotta, dietro la musica di Sinatra e Bublè, dietro struffoli e roccocò; pronta a colpire a tradimento alla schiena.

Non vorrete negare che c’è qualcosa di perfido, nel Natale. Una mano subdola e traditrice armata di coltello, che si nasconde dietro luci e festoni e palline di vetro e pastori di terracotta, dietro la musica di Sinatra e Bublè, dietro struffoli e roccocò; pronta a colpire a tradimento alla schiena, riportando alla memoria freschi e limpidi ricordi struggenti e dolorosi, che ingenuamen­te ritenevamo sopiti e sepolti sotto tonnellate di natali successivi e di anni e anni di vita quotidiana trascorsa apposta per dimenticar­e.

Premessa importante. Per un maschio occidental­e contempora­neo c’è uno spartiacqu­e preciso, un momento che sopravvien­e inosservat­o e poi, in retrospett­iva, divide la vita in due parti: quella in cui si aspettavan­o i regali e quella in cui c’è il problema di farli. La seconda è ovviamente molto più lunga, e girando ossessivam­ente per i negozi o smanettand­o su internet alla ricerca di un’idea per ognuno dei familiari ci si dimentica facilmente di quando si passavano le notti fantastica­ndo su quello che si sarebbe ricevuto, coltivando desideri e temendo delusioni. Ma il Natale è subdolo, e il sottoscrit­to è stato accoltella­to alla schiena proprio ieri mattina, quando vagava perplesso tra gli scaffali di una enorme libreria del centro per trovare qualcosa di inerente la cucina per un figlio ingegnere con l’hobby dei fornelli.

Dodici anni, terza media con uno di vantaggio. Pigro, sovrappeso, quello che oggi chiamerebb­ero un nerd ma senza schermi e tastiere, perché all’epoca schermi e tastiere non c’erano. Amici pochi, relegati nel recinto di quelli coi voti troppo alti per essere simpatici a tutti, e per di più incapace di giocare a pallone, l’unico evento realmente aggregante per i ragazzi di allora. La vita di allora, nell’approssima­rsi del primo Natale degli anni Settanta, era tutta scuola e famiglia: e un’attività sportiva fatta di cloro e di acqua troppo calda o troppo fredda, e troppo distante dagli interessi dei coetanei. Chissà che riceverò a mezzanotte. Chissà cosa avrò, quest’anno.

Tanta gente in fila, in libreria. Con in mano oggetti di ogni tipo, perché ormai solo di libri non si vive più. Penne, pupazzi, album da colorare. Fumetti. Ma dove accidenti saranno i libri di cucina, si può sapere?

Il primo Natale senza Babbo Natale. Si era capito già da almeno due anni, ma la presenza dei fratelli minori aveva consentito di restare attaccati all’idea, di cedere alla meraviglia di una favola bella e assurda, e tuttavia così confortevo­le. E quindi in qualche modo il primo Natale adulto, in cui scambiare sorrisi di sufficienz­a coi genitori agli urletti un po’ spaventati dei piccoli; il primo Natale in cui sarebbe stato assurdo aspettarsi giocattoli, essendo cresciuto. Ma era anche troppo presto per aspettarsi abiti, per chi metteva sempre e comunque lo stesso maglione. E allora che cosa avrei trovato?

Ecco, finalmente, lo scaffale giusto. E una marea di proposte cool e innovative, sushi e profumi del vino, avviamento al whisky e cocktail mozzafiato. Si comincia a cercare, senza avere idee.

Ricordo la cena di quella sera, e il cuore si spacca di tenerezza; per quel profumo di famiglia vissuto da figlio, senza responsabi­lità e con un soffio d’insofferen­za, ma con la dolcezza di un piede che si infila nella sua pantofola preferita. L’odore del cibo, il senso di aspettativ­a. E quel pensiero malinconic­o, vivo e vegeto a cinquant’anni di distanza, fatto per metà della paura di essere diventato grande e di non poter più sentire la gioia sfrenata di un regalo da bambino, e per metà di curiosa aspettativ­a. Il volto impenetrab­ile di mio padre, il suo mezzo sorriso che ti faceva sempre chiedere a che cosa stesse pensando dietro quegli occhi verdi pieni di ridente malinconia. Che mi hai preso, papà? In che modo mi dirai che non sono più il tuo bimbo?

Scelgo alla fine due libri, uno di cucina tradiziona­le e uno che insegna gli impiattame­nti e alcuni innovativi abbinament­i. Il messaggio è che bisogna inventarsi qualcosa di nuovo, ma anche tener conto sempre del posto da cui si viene. Chissà se verrà recepito.

Quando arrivò il momento entrai per ultimo nel salone, dove c’era l’albero. Chissà perché quell’anno avevo più paura che negli anni in cui temevo di incontrare quel grosso fantasma rosso che era Babbo Natale, buono finché non lo si vedeva, al quale mamma aveva preparato come sempre un piatto di struffoli che era stato svuotato. I fratellini ululavano come ogni anno di gioia e di ansia di fronte ai pacchetti. Io avrei voluto essere già all’indomani.

All’improvviso mi viene un’idea. Metto giù entrambi i volumi, e mi avvio alla cassa. Un paio di clienti mi riconoscon­o e mi chiedono di firmare copie dei miei romanzi. Chi l’avrebbe detto? Il regalo di Natale sono diventato io.

Per me un pacchetto con un paio di scarpe, grazie, una sciarpa, grazie, e un maglione uguale a quelli che portavo sempre, grazie. Una malinconia fortissima che mi stringeva il cuore in una morsa, Avrei pianto, ma i grandi non piangono, pensavo allora. Piangono, invece: piangono anche di più. Adesso lo so.

Mi avvicino alla signorina, ricevo il sorriso luminoso che da qualche anno merito nelle librerie. Sorrido anch’io.

Poi papà, il mio tenero dolce silenzioso papà dagli occhi verdi che mi manca ogni anno di più, nonostante sia passato già tanto tempo o forse proprio per quello, mi si avvicina e mi consegna una busta. Mi dice: adesso che sei grande, puoi prendere la funicolare e andare da solo. A scegliere. Nella busta rossa c’era un buono per trentamila lire alla libreria Guida, a Port’Alba. E c’erano la libertà, il piacere, l’amore e la voluttà dell’autodeterm­inazione. C’era il bello di essere cresciuti, e il bello di avere ancora chi pensava a me. Era il più bel regalo che io avessi e abbia tuttora mai ricevuto.

Chiedo alla signorina sorridente la bustina rossa per un buono che rappresent­i l’amore.

Tristezza

Una malinconia fortissima mi stringeva il cuore in una morsa, Avrei pianto, ma i grandi non piangono, pensavo allora. Piangono, invece: anche di più

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In alto, a sinistra, Maurizio de Giovanni A destra, la libreria Guida di Port’Alba
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