Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Gli Oscar a Capri Hollywood Ma Sophia Loren non viene più
Al via sull’isola azzurra la ventiquattresima edizione della kermesse internazionale Il forfait della Loren non «ferma» una manifestazione densa di prime e anteprime
Nick Vallelonga, doppio premio Oscar 2019 come co-sceneggiatore e produttore di «Green book», è l’Artista italo americano dell’anno e Remo Girone è il vincitore del Capri Award: saranno entrambi premiati nel corso dell’edizione numero 24 di Capri Hollywood, che purtroppo ha dovuto registrare ieri l’inattesa e improvvisa rinuncia della star italiana più amata: Sophia Loren ha comunicato attraverso il suo agente Carlo Giusti che, a causa «dell’incertezza climatica» di questi giorni, non potrà essere presente sull’isola azzurra dove avrebbe ricevuto dalle mani dell’amica Lina Wertmüller il Legend Award alla carriera.
Il forfait di Sophia addolora, ma certo non ferma il festival internazionale caprese ideato e prodotto da Pascal Vicedomini (tre appuntamenti serali oggi, il 28 e il 30 su Rai 1) che propone stasera in apertura l’anteprima italiana dell’attesissimo «Piccole donne» di Greta Gerwig, battistrada di una fitta serie di «preview» e di proiezioni speciali. Con «Piccole donne», il celebre romanzo della Alcott che ha fatto versare lacrime a generazioni di lettori e spettatori (e soprattutto di lettrici e spettatrici) giunge alla sua quinta versione cinematografica: nel ruolo di Jo, la più anticonformista delle quattro sorelle March, Saorise Ronan promette di reggere il confronto con le Jo che l’hanno preceduta sullo schermo (Katharine Hepburn nel ‘33, June Allyson nel ‘49, Winona Ryder nel ‘94) e punta decisa al Golden Globe. Ma tutto il resto del cast (a cominciare da Emma Watson, ex Hermione potteriana qui nei panni di Meg, per finire a Timothée Chamelet sempre più lanciato dopo l’alleniano «Giorno di pioggia a New York» e alla sempiterna Meryl Streep) garantisce scintille.
E se con il film della Gerwig bisognerà necessariamente preparare i fazzoletti, emozioni di altro tipo verranno da «Dolemite is my name» di Craig Brewer in cui Eddie Murphy (anche lui candidato al
Golden Globe) dà volto e battute a Rudy Ray Moore, attore diventato famoso nei ‘70 interpretando il ruolo di Dolemite, protagonista di una delle prime serie di film «blaxploitation», cioè creati da afroamericani per un pubblico di afroamericani. E le anteprime capresi proseguono con numerosi appuntamenti, tra cui segnaliamo il documentario «Made in Usa – Una fabbrica in Ohio», titolo italiano di «American Factory» di Julia Reichert e Steven Bognar, documentario prodotto da Barack e Michelle Obama che hanno sottoscritto con Netflix un accordo per altri sei progetti; «The last full measures», cast stellare (Sebastian Stan, Christopher Plummer, William Hurt, Ed Harris, Samuel L. Jackson), ricostruzione di un episodio eroico avvenuto in Vietnam durante la «sporca guerra» su cui venti anni dopo si allungano le ombre della cospirazione politico-militare; «Arctic dogs», film di animazione in cui una volpe artica e un branco di husky si battono contro il maligno Doc Warlus; e ancora, «Incitement», film israeliano che ricostruisce dalla parte del killer l’attentato al premier laburista Rabin, e «Legacy» del rumeno Dorian Boguta sulla scomparsa di un celebre pianista.
Ancor più folta la lista delle proiezioni speciali: si va da «The Irishman» di Scorsese, «Storia di un matrimonio» di Noah Baumbach con Scarlett Johansson e Adam Driver e «I due Papi» di Meirelles, tre produzioni Netflix di gran successo in questa stagione, a «Judy» di Rupert Goold in cui Renée Zellweger si misura con un mito del cinema e della musica come Judy Garland, fino a «Queen & Slim» dell’esordiente Melina Marsoukas, denuncia della discriminazione razziale contro gli afroamericani negli Usa, e a «The King» di David Michod, con Timothée Chamelet principe riluttante costretto a mettersi in testa la corona (scespiriana) di Enrico V.