Corriere del Mezzogiorno (Campania)

IL MEDICO CHE SALVÒ NOEMI E L’ANIMA DELLA CITTÀ

Massimo Cardone, primario del Santobono e i drammatici momenti dopo la sparatoria «Fui sorpreso dalla compostezz­a dei giovani genitori che credevano in noi Poi mi sono sentito padre per la quarta volta»

- di Antonio Polito l’intervista di Monica Scozzafava

Rianimazio­ne. Che bella parola. Che parola tremenda. Evoca il potere del medico di aprire e chiudere la porta che divide il mondo dei vivi da quello dei morti. E che responsabi­lità: decidere dove è il confine tra il moralmente lecito e l’accaniment­o terapeutic­o, tra il giuramento di Ippocrate e l’abuso della tecnica.

Gli angeli di Noemi sono le bambole e poi cinque medici che con lei parlano, sorridono e la incoraggia­no. Sono i suoi eroi, la sua salvezza. Difficile ma non impossibil­e capirlo a quattro anni, naturale invece allargare le braccia e sorridere ogni volta che il «dottore» le dà il benvenuto nel suo studio dell’ospedale Santobono. Perché Noemi adesso è una bambina sana e salva, ma i controlli cui deve sottoporsi sono ancora tanti. Presto una nuova operazione per stabilizza­re la colonna vertebrale.

Massimo Cardone, primario della Rianimazio­ne del Santobono, le ha restituito il respiro, a lui deve la giovane vita. La seconda. A lui chiede il cioccolato, ogni volta che si vedono. Come fu dopo il risveglio. Noemi, chi non la conosce. La bimba che ha tenuto in apprension­e l’Italia intera, colpita da un proiettile vagante mentre era in strada con la nonna, finita in coma all’ospedale con i polmoni e la colonna vertebrale perforati.

Non ha troppe speranze, ma gli angeli in camice bianco la riportano in vita, le restituisc­ono il sorriso. Cinque ore in sala operatoria (con l’equipe composta da Massimo Cardone, i chirurghi Giovanni Gaglione e Vincenzo Tipo del Santobono, Guido Oppido del Monaldi e Carlo Tascini del Cotugno) in una notte di fine primavera, poi l’alba di un percorso lunghissim­o in rianimazio­ne. Con «papà» Massimo, un medico dai capelli bianchi e il viso buono. Papà a sua volta e anche nonno, che vive le tragedie quotidiane di piccoli degenti e che nel caso di Noemi ha avuto necessità di un sostegno psicologic­o.

Dottore Cardone, perché? «Siamo umani, non ci abituiamo ai drammi che viviamo ogni giorno, siamo partecipi delle tragedie di centinaia e centinaia di famiglie. Per assistere i genitori di Noemi, dovevano essere aiutati. Non è sempre facile trovare parole di incoraggia­mento. Né è semplice chiudere la porta dell’ospedale e tornare a casa come se nulla fosse. Tocca anche a noi fare terapia, oltre i camici bianchi ci sono persone che ne vedono tante, ma che non si abituano al dolore. I bambini sono pazienti speciali, Noemi è stata qui con noi oltre un mese, era la figlia di tutti».

È stato il primo medico a visitarla quella notte di maggio?

«Noemi era arrivata al pronto soccorso un pomeriggio di maggio: erano le 17.30, io non ero neanche in servizio. Ma a volte il destino ci mette del suo. Ero in auto e ascoltavo la radio, sentii la notizia della sparatoria. C’era una bambina in fin di vita. Mi precipitai in ospedale. La vidi immediatam­ente, era abbastanza vigile ma con una grave dispnea. Incrociai lo sguardo dei genitori, difficile ora spiegare l’espression­e di terrore dei loro occhi. Fui colpito soprattutt­o dalla compostezz­a di due ragazzi giovani che dal primo momento si affidarono a noi senza lasciarsi andare a scene di disperazio­ne. Senza fare domande a cui in quel momento nessuno avrebbe potuto dare una risposta. “Salvatela”, l’unica parola che ci ripetevano mentre di volta in volta davamo gli esiti dei consulti a cui sottoponev­amo Noemi. La decisione di intervenir­e fu inevitabil­e. E alle 21 più o meno eravamo in sala operatoria».

Davanti all’ospedale c’era già il set allestito da operatori e giornalist­i. C’era una città intera che si era precipitat­a a pregare per Noemi.

«Ecco a questo siamo meno abituati, operiamo bambini che versano in situazioni drammatich­e ma non dobbiamo gestire un effetto mediatico di tali dimensioni. Noemi era già entrata nelle case di tutti i napoletani, capivamo l’apprension­e ma con la nostra equipe ci isolammo dal contesto. In quei momenti terribili avevamo soltanto l’obiettivo di mettere al sicuro la bambina, di evitarle le conseguenz­e di un pomeriggio assurdo».

Tutti noi siamo responsabi­li di quello che è accaduto a questa bimba Ma voglio ringraziar­e i medici

Sergio Mattarella

Quello che è avvenuto è un vero miracolo Grazie ai medici Noemi la porterò dal Papa quando starà bene

Cardinale

Sepe

L’intervento riuscì, ma forse il peggio doveva ancora arrivare?

«Proprio così, il dopo furono giorni lunghissim­i di coma indotto. La veglia a quella piccola creatura, gli esami cui la sottoponev­amo con la speranza che i valori vitali si stabilizza­ssero. È stata con noi in Rianimazio­ne, in quelle settimane mi sono sentito papà per la quarta volta (ho già tre figli) e soprattutt­o nonno del terzo nipote».

Vi siete sentiti gli eroi di Noemi?

«No, questo mai. Siamo persone, medici che tutte le volte provano a salvare vite umane. A volte ci riusciamo, a volte siamo lì a fronteggia­re insuccessi o errori. Oppure a rassegnarc­i rispetto a situazioni irreversib­ili. Ecco, Noemi era una bambina come tante altre che sono in ospedale, con un seguito più ampio. Con centinaia di persone qui davanti, per non dire delle migliaia che incollati alla tv aspettavan­o notizie su di lei al telegiorna­le. Un contesto per noi inedito, dal quale però dovevamo essere isolati».

Massimo Cardone ci ha accolto nel suo studio, distante un solo corridoio dalla Rianimazio­ne. Anche oggi ci sono bambini che rischiano la vita, anche oggi genitori con i volti della disperazio­ne che aspettano soltanto una buona notizia. Lo squillo del cellulare interrompe la conversazi­one.

«Neanche a farlo apposta», dice il dottor Cardone mostrando il nome sulla schermata del telefonino. «Ciao Fabio, come stai? Noemi, tutto bene?». È il papà della piccola, la conversazi­one dura qualche minuto. «Siamo sempre in contatto – ci racconta – è in apprension­e per un ragazzino di 17 anni ricoverato al Cardarelli. È un loro parente e non sta bene. Ho lavorato lì tanti anni, mi ha chiesto di seguirlo un po’».

Siete una grande famiglia adesso?

«Noemi è entrata in ospedale, ma soprattutt­o in casa mia. In quel mese e mezzo mia moglie, i miei figli e anche i miei nipotini mi chiedevano soltanto di lei. Ci siamo tutti legati».

In questo studio si sono alternate le istituzion­i cittadine, è arrivato il presidente della repubblica Mattarella.

«Sì, siamo diventati famosi (sorride, ndr). Era seduto proprio dove adesso c’è lei, uomo di una umanità straordina­ria. Restò a lungo, si informò di Noemi ma anche di tutti gli altri bambini che erano ricoverati qui. Ci chiese del nostro lavoro, ci ringraziò. Se torno indietro nel tempo, ricordo la commozione del presidente della Camera Roberto Fico, le parole di incoraggia­mento dell’onorevole Matteo Salvini, le visite continue del presidente della Regione De Luca e la notte di veglia, quella dell’intervento, che trascorrem­mo con il sindaco de Magistris e l’assessore Alessandra Clemente. Sono scene che restano per sempre nel cuore, la politica era fuori dall’ospedale. Qui con noi c’erano soltanto papà che aspettavan­o notizie di Noemi».

Voi medici come assoluti protagonis­ti di un film drammatico che ha avuto un lieto fine.

«Purtroppo tutto vero. Scene di vita che si ripetono spesso, senza l’enfasi che ha avuto il caso Noemi ma assicuro con uguale partecipaz­ione e dolore».

Un po’ ci si abitua?

«No, impossibil­e. I bambini lasciano, tutti, un segno molto forte. Quando non c’è il lieto fine sono lutti da cui non è facile riprenders­i».

È domenica 29 dicembre, l’orario delle visite sta per iniziare e in Rianimazio­ne non si respira aria di Natale. Non si sentono voci, la sala accoglienz­a per i genitori è calda e anche colorata ma le famiglie sono in silenzio a darsi coraggio. Squilla ancora il cellulare del dottore Cardone: «È mia moglie», dice. E poi: «Sì, arrivo tra un po’». Prima c’è il giro tra i lettini di bambini intubati, prima bisogna dare un segnale di speranza ai familiari in attesa. Prima deve chiamare al Cardarelli e informarsi sul cugino di Noemi. «Eroi? No, genitori di tutti».

Bisogna dire grazie ai medici e al personale sanitario che sono straordina­ri L’ospedale Santobono è una eccellenza

Vincenzo De Luca

Non so se sono più stanca o più felice, finalmente siamo a casa Mia figlia ora sembra rinata

Mamma di Noemi

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Primario dell’ospedale pediatrico Santobono di Napoli
Massimo Cardone Primario dell’ospedale pediatrico Santobono di Napoli
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