Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Un medico simbolo che fa il suo dovere E la città migliore finalmente vince su quella peggiore

- Di Antonio Polito SEGUE DALLA PRIMA

Diciamo la verità: la palma di napoletano dell’anno un medico se la sarebbe meritata comunque. Sono loro che curano, salvano, guariscono una città perennemen­te «ferita a morte»; con senso del dovere, tanta fatica e orari lunghi, nonostante ospedali fatiscenti e una società che troppo spesso disprezza la vita, o che deve metterla costanteme­nte in gioco per quattro soldi.

E, nonostante questo, mentre presidiano le strutture che si occupano della nostra salute, sono vittime di aggression­i come in nessuna altra città italiana. Non sono certo tutti santi, ma non c’è dubbio che tra di loro ci sono dei veri e propri eroi civili.

Certamente lo è Massimo Cardone. Un venerdì di molti mesi fa, il 3 di maggio, era in auto quando apprese del ricovero della piccola Noemi, la bimba di quattro anni ferita da un proiettile vagante mentre era con la nonna nei pressi di Piazza Nazionale, nell’ospedale per bambini di cui è primario di rianimazio­ne, il Santobono.

Trapassato un polmone, il «corpo estraneo» si era fermato nell’altro, sfiorando la colonna vertebrale, e andava estratto. Il professor Cardone fece ciò che la sua profession­e gli impone: tornò in ospedale e non mollò più quella bambina per quasi venti giorni, fino al 21 del mese, quando la risvegliò dal coma indotto e diramò il comunicato più atteso, quello che la dichiarava finalmente non più in pericolo di vita.

Fece il suo dovere, ma lo fece così bene e con tanta dedizione da passare alla storia di questa disgraziat­a città, per averle evitato l’ennesima disgrazia. Da meritarsi la visita e l’encomio, a nome della Repubblica tutta, del Capo dello Stato, Sergio Mattarella.

Naturalmen­te sappiamo che avremmo dovuto premiare anche tutti gli altri medici che sono stati decisivi per salvare la vita a Noemi, perché niente in medicina è mai il risultato di uno solo, ma sempre di un lavoro di équipe, di una collaboraz­ione tra competenze ed esperienze diverse.

Avremmo dovuto premiare anche il dottor Vincenzo Tipo, che accolse Noemi al Pronto Soccorso; il primario di chirurgia pediatrica Giovanni Gaglione, che le estrasse il proiettile con un’operazione durata cinque ore, e con lui Guido Oppido, il primario di cardiochir­urgia pediatrica dell’ospedale Monaldi, e Carlo Tascini, il primario infettivol­ogo del Cotugno, e tutti gli altri sanitari, radiologi, anestesist­i, infermieri che sono entrati in quella sala operatoria.

Ma abbiamo scelto Massimo Cardone come simbolo di tutta l’equipe, perché al suo lavoro è toccato ridare alla bimba quel respiro che la vita le voleva strappare così presto.

Salvando Noemi, lui e i suoi colleghi non hanno solo restituito una bambina alla sua famiglia, ma anche una speranza a Napoli. È stato in nome di Noemi che la città, chiamata a raccolta dalla Chiesa, ha dato vita a una delle sue purtroppo rare mobilitazi­oni contro la camorra, in una grande veglia al Palasport la sera dell’11 maggio. È stato per dare giustizia a Noemi che gli agenti di Napoli, guidati dal questore Antonio De Jesu, hanno dimostrato la capacità dello Stato di individuar­e e reprimere il crimine quando vi impegna tutti i suoi mezzi e la sua determinaz­ione.

Cardone insomma non è stato solo il trait d’union tra la morte e la vita nella vicenda personale di Noemi e della sua famiglia, ma anche tra la Napoli che uccide e la Napoli che salva, tra la Napoli del degrado e quella dell’eccellenza, tra la mala-sanità e un ospedale di livello europeo, tra ciò che rischia di affondare per sempre la nostra città e ciò che invece la riscatterà. Il viatico migliore per farci entrare, con un sorriso di speranza sulle labbra, nel nuovo anno che viene.

 ??  ?? “da guerra”, era stata la frase dei medici. Da quel momento, la bambina è rimasta attaccata a una macchina che le permetteva di respirare e sottoposta a esami costanti. Verso fine maggio, era migliorata ed aveva iniziato a respirare senza cicli di ventilazio­ne.
“da guerra”, era stata la frase dei medici. Da quel momento, la bambina è rimasta attaccata a una macchina che le permetteva di respirare e sottoposta a esami costanti. Verso fine maggio, era migliorata ed aveva iniziato a respirare senza cicli di ventilazio­ne.

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy