Corriere del Mezzogiorno (Campania)
IL MUSICISTA E IL BAMBINO DA SALVARE
C’è una sorta di calma iniziatica ad animare le azioni apparentemente insensate del musicista Gabriele Santoro, protagonista del romanzo di Roberto Andò, Il bambino nascosto (La nave di Teseo). Il pianista vive tutto immerso in una dimensione straniante, recita poesie mentre si sbarba, si isola dalla famiglia, dalle amicizie e finanche dagli amori. E sceglie come buen retiro una cupa terra desolata, Forcella, in cui ogni anfratto è controllato dal respiro pesante dei camorristi. A irrompere nel suo rituale quotidiano è la forza vitale di Ciro, un bambino di dieci anni, vicino di casa bisognoso di protezione ma anche potenzialmente pericoloso, perché viene proprio da quel mondo criminale con il quale fino ad allora Gabriele ha convissuto nella reciproca indifferenza. Ciro apre squarci emotivi nel mondo trattenuto del musicista: diventa il figlio mai avuto, il compagno di giochi, il piccolo da difendere, l’allievo inaspettatamente capace a cui insegnare il pianoforte, forse perfino dotato dell’orecchio assoluto. In questa dinamica di avvicinamento che avviene per piccole mosse, poco a poco, sta la maggiore forza del romanzo di Andò. Un romanzo dalla trama non scontata, avvincente, senza cadute in moralismi o nelle facili visioni manichee. Il discorso perde un po’ di mordente solo quando il tono si fa didascalico, con qualche passaggio troppo «spiegato» e poco raccontato. Resta inoltre assai interessante il punto di vista dell’autore, siciliano ora diventato direttore dello Stabile napoletano, sulla sua nuova città d’adozione. Luogo pieno di fascino ma anche di forze maligne, la Napoli di Andò ricorda esplicitamente quella della Ortese e ha una sua fosca malìa: «All’ingresso della Chiesa si ritrovarono nella calca. C’era tutta quella parte della città che vuole, a ogni costo, servire il crimine, o esserne vittima». Poca la scelta, per chi è nato a Forcella.