Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Chiudiamo in una stanza gli impresari della rabbia
Ci informa Anna Paola Merone, cui nulla sfugge, che sta per aprire a Fuorigrotta la prima «Rage Room» della Campania. Una «stanza della rabbia», o, se vogliamo usare un eufemismo, un centro antistress; un posto cioè dove tu vai, paghi da 35 a 50 euro, ti danno un numero di bottiglie, oggetti in vetro, mobili ed elettrodomestici proporzionato al costo del biglietto, più un martello con cui puoi spaccare tutto. Una grande idea. Dico sul serio. Ho sempre pensato che un serio problema di Napoli sia proprio la rabbia, il rancore, il nervosismo che serpeggia tra la sua gente, che fa svegliare tutti già incazzati di prima mattina.
Pronti a calarsi nel combattimento quotidiano appena usciti di casa, e dunque per niente predisposti alla tolleranza nei confronti dei difetti altrui, ma anzi propensi a enfatizzare i propri.
Naturalmente anche la rabbia è un effetto e non una causa. I napoletani sono arrabbiati perché ne hanno ben donde. La mancanza di lavoro, le file negli uffici, le attese in ospedale, i guasti e gli incidenti sul metrò, la monnezza per le strade, il traffico che impazzisce, il disastro delle infrastrutture, sono tutti ottimi motivi per essere più che arrabbiati.
Ma quell’effetto a sua volta avvelena anche il resto della convivenza civile, perfino in quegli ambiti e in quei momenti che potrebbero al contrario regalare un po’ di gioia e serenità. Mi è capitato in tutti i periodi in cui ho vissuto a Napoli di notare l’enorme divario che c’è tra quello che ti si sta intorno e chi ti sta intorno, una tensione tra gli esseri umani che mal si concilia con l’incredibile capitale di bellezza che la città offre a ogni angolo, e che dovrebbe invece indurre alla serenità, alla contemplazione, all’amore del prossimo, piuttosto che alla rissa continua. Mi è venuto in mente uno scritto di Raffaele La Capria, «Descrizione di una bella giornata», storia di un uomo che rovina l’azzurra meraviglia di un giorno d’estate facendo a pezzi nel corso di una pesca subacquea un povero granchio, che
a guardarlo dall’alto gli era sembrato enorme e che invece è un cosino che lui dilania inutilmente, con il solo risultato di trasformarne i frammenti in cibo per pesci.
Ecco, prendiamo spesso questi tipi di granchio nella nostra vita napoletana, accanendoci contro chi non se lo merita, ma allo stesso tempo rovinandoci giornate che avrebbero potuto essere bellissime. Napoli è una città che passa per essere allegra; ma, anche quando c’è, è un’allegria nervosa, frenetica, non gioiosa, pacificata, radiosa.
Forse una stanza della rabbia potrebbe servire. Intanto ho apprezzato che per questo esperimento pilota sia stato scelto il quartiere di Fuorigrotta. La location può infatti tornare utile ai tifosi che sciamano dallo stadio dopo una partita del Napoli, altro elemento della vita cittadina che quest’anno sta funzionando da moltiplicatore della rabbia, invece che da calmante come negli ultimi anni.
Ma anche molti altri settori della
vita cittadina avrebbero bisogno di sfogatoi analoghi. Certamente ne avrebbero bisogno i medici e infermieri di ospedali e ambulanze che, mentre si adoperano per curare e salvare la vita alla gente, vengono ormai regolarmente fatti oggetto di aggressioni, pestaggi, intimidazioni, come se potessero essere responsabili di ciò che non funziona nella sanità in Campania. Ne avrebbe bisogno quell’ennesimo ragazzino di sedici anni accoltellato l’altro giorno da una baby gang nei pressi di Porta Capuana, visto che gli adolescenti, nonostante la loro giovane età, sembrano inspiegabilmente il gruppo sociale più afflitto da sentimenti di rabbia e più facile a ricorrere alla violenza come terapia.
Ne avrebbero bisogno tutte le donne picchiate da mariti, fidanzati ed ex, per le quali l’Arma dei Carabinieri ha di recente inaugurato un’altra «stanza», la stanza protetta dove possono confidare l’inferno della loro vita a un investigatore amico che possa aiutarle.
E, si parva licet, ne avrebbe bisogno anche il sindaco de Magistris e l’intera politica napoletana. Perché il nostro primo cittadino è proprio tipo da stanza della rabbia, nel senso che andò al potere ansioso di «spaccare tutto», e lì avrebbe potuto farlo in modo insonorizzato e indolore per la cittadinanza. L’ex pm si fece eleggere proprio facendo leva su quei sentimenti di rabbia e di rancore che abbiamo cercato di individuare come grande problema della vita civile a Napoli. Lungi dal contrastarli, come dovrebbe fare una classe dirigente, li cavalcò, al puro scopo di indirizzarli elettoralmente a suo vantaggio. Un po’ come fece, del resto, il Movimento Cinquestelle alle passate elezioni politiche, e come promette di fare Salvini alle prossime elezioni regionali e comunali.
Gli impresari della rabbia abbondano insomma nella nostra città. Di stanze, sentite a me, ce ne vorrebbero a migliaia.