Corriere del Mezzogiorno (Campania)
SIGLE ANNI ’70-’80 I BRANI PIÙ NOTI IN UN LIBRO
Si presenta da Perditempo a San Pietro a Majella «Si trasforma in un razzo missile» Il volume, scritto da Stefano Di Trapani, analizza le musiche dei cartoni animati : «indimenticabili per i quarantenni e fonte d’ispirazione per le nuove generazioni»
«Mangia libri di cibernetica, insalate di matematica e a giocar su Marte va». Parole aliene per un nativo digitale, eppure clamorosamente segnanti per i più grandicelli. La strofa del singolo «Ufo Robot» del gruppo Actarus - pubblicato nel 1978 e sigla del celebre Cartone animato giapponese «Atlas Ufo Robot» - è infatti solo una delle tante meraviglie musicali che hanno riempito le giornate di quei bambini che oggi hanno circa quarant’anni.
Le sigle di quei cartoni sono anche il cuore pulsante del volume «Si trasforma in un razzo missile» (Rizzoli Lizard), prima opera letteraria del musicista, giornalista («Rolling Stone», «Vice») e «terrorista culturale» romano col nome di Demented Burrocacao, all’anagrafe Stefano Di Trapani. Il testo presentazione stasera alle 20 da Perditempo a San Pietro a Majella è una sorta di viaggio sonoro e sentimentale che va da Goldrake a Lupin, con lo scopo di accendere una luce sulla bontà artistica di band nelle quali militavano, talvolta segretamente, i nomi più autorevoli della scena italiana. Musicisti la cui influenza è ancora palpabile, come racconta l’autore: «I Mini Robots - esponenti altissimi delle sigle di quegli anni (Space Robot e Gackeen, per dirne un paio) - sono ad esempio autori di un funk irresistibile che ancora oggi supera a sinistra esperienze come quella dei napoletani Nu Guinea, che certamente ne avranno fatto tesoro. Il batterista della band è il formidabile Agostino Marangolo, il quale, tra l’altro, ha suonato anche con Pino Daniele. Uno come
Marangolo può permettersi, come è successo, di sbagliare mentre suona dal vivo davanti a un auditorium gremito, fermarsi e ricominciare a suonare come se nulla fosse mentre James Senese lo sfotte allegramente».
Attraverso i racconti dei tanti spezzoni di vita che affiancano la narrazione delle musiche dei cartoni, Di Trapani volge lo sguardo ai ragazzi di oggi, smarcandosi da una prevedibile operazione nostalgia e ponendo l’accento su questioni più articolate: «Nel libro mi rivolgo ai giovani. Per l’esattezza i giovani del futuro, come scrivo nella dedica d’apertura citando il testo della sigla italiana di Conan. Proprio perché magari non conoscono i retroscena di queste sigle, il contesto socio politico, i grandi musicisti che creavano quelle che sono vere e proprie epopee sonore. Perché di base - prosegue - non le conoscono neanche quelli che le hanno vissute all’epoca. Il testo è una sorta di hauntology su un genere sottovalutato, e come tale non prende come riferimento coetanei, nostalgici, e cose del genere. Non si può - sottolinea - avere nostalgia di quegli anni, fatti di piombo, di falsi boom economici, di eroina, di scuole fatiscenti, di sessualità spiattellata senza sapere come e perché, per cui ecco: semmai le sigle erano un modo per portare l’ascoltatore fuori da tutto questo, in una bolla che dava la speranza dell’immaginazione: quella che poi hanno tutti i bambini, i quali riescono a colorare il mondo anche se è grigio topo».
Le discrepanze tra i piccoli di allora e quelli di oggi coinvolgono l’ascolto, sempre più relegato a una fruizione differenziata, come chiarisce Di Trapani: «La differenza forse più notevole è che in media i giovani adesso dividono la musica per emozioni e momenti. Probabilmente, chi ascoltava musica nel periodo d’oro delle sigle invece dava importanza alla musica in quanto tale. Oggi sono cambiati gli eroi e di sigle italiane di cartoon non ce ne sono. Però i cartoni animati sono scesi nella musica pop, per cui ecco Sfera Ebbasta, The Supreme e via discorrendo. In “Madamoiselle Anne” del gruppo Le Mele Verdi ci vedi i semi dell’itpop moderno, mentre nel brano “I ragazzi della Senna” (Il tulipano nero) cantato da Cristina D’Avena possiamo notare una produzione non lontana da quella di tantissimi nomi dell’elettronica internazionale degli ultimi anni. Il sintetizzatore violentissimo che si sente nella sigla di Jeeg Robot ha poi aperto la strada a tanti sperimentatori underground. E potrei continuare conclude - con le musiche della saga “Kiss Me Licia” che hanno influenzato i primi dj set di Calcutta oppure la sigla di I-Zenborg, cantata dai Superobots, di stampo city pop, genere musicale giapponese recentemente riscoperto anche dalla critica italiana e da diversi produttori. Insomma, la lezione delle sigle si è impiantata nel pop di classifica in maniera fortissima. Michel Tadini, l’interprete di Ufo Robot, si esibiva vestito da Actarus in televisione come oggi i trapper hanno i paradenti colorati o un look da fumetto.