Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Le nuove menti tra web e dialogo
Tra un anno, quando non sarà più ricandidabile, il sindaco dovrà inventarsi qualcosa per restare nel giro della politica e non avrà modo di badare alla sorte dei suoi compagni di viaggio, che in parte si disperderanno e in parte confluiranno, piaccia o meno, sotto le insegne del nuovo Pd di Zingaretti. Napoli, luogo sensibile al potere come pochi, sta fiutando l’aria che tira e avverte la possibilità di riaccendere un confronto su alcune questioni lasciate finora a ossidare nell’oblio.
Adolfo Scotto di Luzio, forte di uno sguardo sempre acuto e originale, nel suo editoriale di domenica scorsa su Il Mattino ha affrontato il nodo dei nuovi luoghi (web, social, blog) in cui si consuma il «discorso pubblico» e la conseguente difficoltà a registrare i toni (ma soprattutto le argomentazioni) del dibattito su queste frequenze. Vi sembra una faccenda di poco conto? A me no, anzi ritengo che sia il focus di molti problemi: governare il mondo digitale senza limitarne la libertà, sposare la modernità senza trascurarne i difetti (come si conviene in qualunque matrimonio), è una sfida che incrocia la nostra vita quotidiana e, di conseguenza, la politica. Che oggi certamente non può fare a meno della banda larga ma che neppure deve perdere cromosomi essenziali quali l’ascolto e la mediazione — ingredienti sconosciuti nell’universo virtuale — pena la trasformazione in una creatura dai lineamenti mostruosi.
A farla breve: esiste qualcosa oltre i grotteschi editti settimanali lanciati via Facebook da de Magistris? C’è ossigeno nel «web di mezzo»? Le idee hanno ancora luoghi in cui respirare senza che i tifosi del pensiero a specchio riescano a soffocarle nella culla? Il fatto che domande simili, prive di risposte già confezionate, comincino a balenare anche qui mi sembra un’ottima notizia. Poi è chiaro, nessuno si azzarderebbe a scommettere un centesimo sul buon esito del cammino, considerate l’ancestrale vischiosità del tessuto civile vesuviano e l’innata propensione all’utile proprio delle nostre classi dirigenti. Però una scintilla d’ottimismo stavolta va alimentata, fosse pure «a prescindere», come diceva Totò.
A questo capitolo ne va aggiunto un altro, comparso ai margini del cosiddetto «caso Ruotolo»: chi sono oggi gli intellettuali? Rispondendo in modo brusco ai promotori dell’appello contro la sua candidatura, il noto giornalista televisivo ha detto che, nella Napoli contemporanea, gli intellettuali sono Daniele Sansone (del gruppo musicale A67 di Scampia) e Carmela Manco (dell’associazione «Figli in famiglia»). Sottotesto neppure tanto nascosto: personaggi del genere, ormai, hanno più importanza di voi professori, prigionieri di un tempo fuori corso. Va bene, un pizzico di garbo in più avrebbe reso la provocazione meno indigesta ma non c’è dubbio che Ruotolo, sia pur grossolanamente, ci ha mostrato uno squarcio nella tela delle nostre antiche (e comode) convinzioni. E ha messo a nudo il fastidio un po’ aristocratico con il quale sono state accolte molte opinioni contrarie all’appello sottoscritto da circa 500 cittadini.
Ecco, allora, il quesito che affiora da questa disputa: in una città che ha sempre identificato l’intellettuale con l’accademico, la conoscenza con il sapere, l’agorà con il salotto, sta nascendo una rete di strada creata da influencer capaci d’incarnare al meglio la domanda di riscatto sociale e il bisogno di modernità che la rivoluzione digitale ha fatto esplodere? In grado di rappresentare anche «politicamente» la necessità che queste due esigenze procedano appaiate?
Una cosa è certa: chi si illude di poter ancora dettare la linea dall’alto del proprio scranno, e per di più senza mai sporcarsi le mani, abita un mondo scomparso. Non credo che l’appello avesse questo obiettivo, anzi sono fermamente convinto che dentro ci fossero tanta passione civile e molte buone ragioni. Ma, con lo scorrere dei giorni, ha assunto un’altra sembianza, a dispetto forse dei suoi stessi promotori. La difficoltà a costruire un nuovo «discorso pubblico» sui canali del web ha ristretto il messaggio nell’angusto circolo dei soliti happy few trasformati, per l’occasione, in haters e non ha scalfito più di tanto l’impervio tragitto su cui s’è incamminato il Pd napoletano (e non solo). Sarebbe stato indispensabile aprirsi ad altre voci, adoperare i social non come territori di conferma bensì di ascolto e miccia critica, contaminarsi con culture «straniere» alla logistica Chiaia-Posillipo, per vedere probabilmente germogliare un’inedita forma di «pressione» politica basata sull’alleanza tra «intellettuali» di mondi diversi. Ma è difficile che un esperimento raggiunga un risultato favorevole al primo tentativo. Perciò bisogna insistere perché Napoli, se vuole riconquistare un futuro, ha bisogno oggi più che mai delle «migliori menti della nostra generazione». L’anagrafe è un dettaglio, conta molto di più aver voglia di mischiare le proprie idee con quelle degli altri.