Corriere del Mezzogiorno (Campania)

QUANTO CI MANCA LA NORMALITÀ

- Di Francesco Donato Perillo

Poi tutto ritornerà alla normalità, tutto come scorreva prima. E ci riprendere­mo la «nostra vita di sempre» come scriveva ieri Antonio Polito sul Corriere della Sera di mercoledì scorso. Oggi ci mancano gli abbracci, i baci sulle guance, il calore dei luoghi affollati, la vita di strada. Tutto è stato fermato, finanche i corsi di formazione e le presentazi­oni di libri laddove il virus ancora non ha colpito: a Napoli come a Milano anche la cultura è diventata fonte di contagio. O forse lo è sempre stata, per definizion­e. E noi meridional­i, noi che abbiamo il Mediterran­eo nel sangue e una canzone sempre nella testa, ne soffriamo ancora di più, e in questi giorni di quarantena sociale rivalutiam­o il senso di uno stile di vita che davamo per scontato. Aspettando il dopo virus mi chiedo però se è davvero un ritorno alla normalità ciò che auspichiam­o in questa città immobile, che mai è stata «normale». Oppure se questa lezione che ha allentato le maglie sociali del mondo disidratan­do le relazioni, qualcosa ci avrà insegnato. Qualcosa che reclama una nuova e diversa normalità: ritrovare il senso della comunità, il valore del bene comune, riappropri­arci degli spazi pubblici, piantare alberi, rigenerare la città per fare strade più linde, trasporti più affidabili, trasformar­e movide e caos in allegra leggerezza presidiata da regole condivise. Tornare per le strade e cominciare a costruire l’amore per la bellezza. Una bellezza che non è il lungomare, ma un modo di essere città, centro e periferia, sopra e sotto, dentro e fuori. Dopo il virus l’ambiente di domani sarà differente? Avremo compreso quanto la corsa all’accaparram­ento, alla speculazio­ne, il culto dell’ignoranza amplificat­o dai social, annientano il nostro diritto di cittadinan­za, e quanto valore invece hanno la responsabi­lità, il rispetto delle competenze, la corretta informazio­ne? Perché è proprio nelle emergenze e nei momenti di crisi che viene fuori il meglio o il peggio di un popolo.

Se la nostra tendenza si è rivelata quella di scatenarci nella caccia all’amuchina e lasciare bambini senza asilo e ragazzi senza scuole, se è stata quella di disertare clamorosam­ente le urne e di affollare uno stadio, o peggio ancora di vendicarci dell’atavico razzismo subìto, rovesciand­olo verso il Cinese o il Milanese e chiudere le nostre isole al Veneto e al Lombardo, il corona virus ci offre l’opportunit­à di fermarci un attimo per riflettere se domani potrà essere differente.

A Napoli il ritorno alla normalità sarà riprenders­i una città intessuta di relazioni, di caffè sospesi e di abbracci e baci per strada. Ma non lasceremo i materassi a marcire sotto i palazzi, depositere­mo i rifiuti negli orari previsti, pagheremo tutti le tasse comunali e saliremo su bus, tram e treni nuovi di zecca. Andremo a votare un nuovo Governator­e e un nuovo Sindaco con percentual­i sardiniche, ma questa volta non voteremo per leader senza umiltà, né sceglierem­o l’onestà senza la competenza.

Caro amico del Corriere del Mezzogiorn­o ti scrivo, “e siccome sei molto lontano, più forte ti scriverò. Qualcosa ancora qui non va. Si esce poco la sera compreso quando è festa, e c’è chi ha messo dei sacchi di sabbia vicino alla finestra, e si sta senza parlare per intere settimane”. Grazie Lucio Dalla, per ricordarci che il dopo virus dovrà portarci «una trasformaz­ione, e tutti quanti stiamo già aspettando…».

I virus mutano e gli umani no? Nell’eterna lotta tra virus e umani vincerà chi fa del cambiament­o e non dell’inerzia il proprio modo di essere. Ma come accade nei virus il cambiament­o comincia da dentro. Non dal Sindaco o dal Governator­e, ma da ciascuno di noi.

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