Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Enzo d’Errico RESTITUIAMO A DI SALVO IL RUOLO CHE GLI SPETTA
Caro direttore d’Errico, le scrivo per ristabilire il valore di Franz Di Salvo, uno dei maggiori esponenti dell’architettura del secolo scorso, progettista delle Vele. Ispirate all’Uniteès d’habitation di Le Corbusier e alle strutture a cavalletto di Kenzo Tange, le Vele sono rimaste un’opera incompiuta. Al tradimento del progetto si è aggiunto l’iper affollamento - previste per 6000 persone ne ospitarono 12000 - e la mancata manutenzione: fattori che hanno portato al degrado. Non imputabile all’architetto, uomo di rara intelligenza e grande cultura. Eppure, con la demolizione della Vela verde, si sono scatenati gli opinionisti. Senza competenza hanno sancito che il progettista era un incapace. Nunzia De Girolamo a «Non è l’Arena» ha detto che l’architetto si è suicidato perché le Vele sono un obbrobrio. Questo è troppo! Franz Di Salvo è morto nel 1977 a Parigi, dove si era trasferito per un intervento chirurgico.
Caro d’Albora, egli ultimi giorni abbiamo scritto tanto sulla vicenda delle Vele, a cominciare dall’intervento dello scrittore Massimiliano Virgilio sul valore (o disvalore, secondo i punti di vista) simbolico che hanno assunto nell’immaginario cittadino, per finire all’analisi di Attilio Belli, uno dei più famosi urbanisti italiani. Devo dire, però, che fra tutte queste preziose testimonianze mi ha colpito molto quella della figlia di Franz Di Salvo, Mitzi, raccolta da Anna Paola Merone in una bella intervista. Nelle sue parole ho ritrovato l’amore che l’urbanista siciliano coltivava per un progetto – e sottolineo
Nla parola “progetto” – che avrebbe dovuto trasportare nella modernità gli antichi riti della convivenza nelle strade napoletane. Purtroppo quell’idea così all’avanguardia venne modificata e stravolta in fase di realizzazione, al punto che Franz Di Salvo – morto durante un intervento chirurgico, altro che suicidio, prima che il cantiere fosse aperto – rifiutò di seguirne i lavori. Comprese prima degli altri che il senso di comunità non sarebbe stato l’architrave delle Vele senza il disegno architettonico originario e il corredo di infrastrutture che era stato previsto. Capì, insomma, che quello sarebbe divenuto il luogo della solitudine, l’emblema di un tradimento. E si mise da parte. Il terremoto del 23 novembre 1980 fece il resto. Adesso è arrivato il momento di restituire a un grande visionario il ruolo che gli spetta nella storia dell’urbanistica italiana.